Lo “Spazio Mission Bambini” a Milano e Padova

#bambini, #educazione, #Italia, #scuola

È partito nelle scuole di Milano e Padova lo Spazio Mission Bambini, un’aula dedicata dove i bambini delle classi coinvolte – accompagnati da personale specializzato – potranno sviluppare il pensiero creativo, le competenze cognitive e computazionali, nonché la comunicazione e la cooperazione tra pari.

 

Una base sicura dedicata ai bambini

“Questi sono bambini sani, ma hanno assolutamente bisogno di un supporto emotivo. Perché da soli non sono in grado di fronteggiare le situazioni di forte stress che stanno vivendo”. È questo il grido d’allarme lanciato dalla professoressa Sara Scrimin dell’Università di Padova (Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione), partner di Mission Bambini nel nuovo progetto all’interno delle scuole.

“Le scuole dove abbiamo avviato questi interventi – continua Scrimin – sono localizzate in contesti caratterizzati da forte povertà educativa e materiale. Alle spalle questi bambini hanno famiglie già fragili, duramente provate dalla pandemia anche sul piano economico. E le difficoltà delle famiglie si riversano inevitabilmente sui più piccoli”.

Perdita di concentrazione, comportamenti inappropriati e aggressivi, pianti incontrollati… È così che il disagio di bambini e ragazzini si manifesta in classe. “Per questo insieme alla Fondazione abbiamo deciso di creare all’interno delle scuole un ambiente fisico separato che svolga la funzione di “base sicura”. Un’aula dedicata dove lo studente, o un piccolo gruppo di studenti, può ‘ricaricarsi’ trovando il supporto emotivo che gli serve, anche grazie alla presenza di figure professionali come psicologi ed educatori in affiancamento agli insegnanti”.

È così che nasce all’interno delle scuole lo “Spazio Mission Bambini”. Grazie ai fondi raccolti attraverso la campagna “Illuminiamo la scuola” lanciata dalla nostra Fondazione lo scorso autunno, sono già due gli istituti coinvolti, per un totale di 400 studenti: a Milano l’Istituto Comprensivo Statale Arcadia, a Padova il VII Istituto Comprensivo San Camillo. Oltre allo spazio fisico, l’intervento prevede la realizzazione in aula, durante l’orario scolastico, di laboratori multidisciplinari utili a dare ai giovani studenti preziosi strumenti di regolazione emotiva. “Sono strumenti fondamentali – conclude Scrimin – perché se non sta bene, un bambino non apprende”.

 

Ti racconto: la parola agli insegnanti

Antonino Gullo, insegnante e referente del progetto presso l’ICS Arcadia di Milano, ci racconta:

“Il focus di noi insegnanti è sulla didattica, per questo l’intervento di Mission Bambini rappresenta una manna dal cielo: si prende carico della parte emotiva, attraverso personale specializzato. Gli psicologi del team entrano nelle aule ‘in punta di piedi’, proponendo attività laboratoriali sulla gestione delle emozioni. Osservano le dinamiche della classe e quindi possono poi proporre interventi mirati sul singolo bambino o su piccoli gruppi attraverso lo Spazio Mission Bambini, sempre con il coinvolgimento di noi insegnanti e durante l’orario curriculare. Durante le prime attività in aula i bambini sono stati bene e hanno mostrato interesse. Anche da parte degli insegnanti ho ricevuto riscontri positivi. Il primo seme è stato piantato: grazie a Mission Bambini, che ancora una volta è stata attenta alle nostre richieste per progettare insieme un intervento che risponde ai bisogni reali di bambini e ragazzi”.

Congo: un’opportunità per i bambini di strada

#adozioni a distanza, #bambini, #Congo, #educazione, #estero, #RDC

Ai bambini di strada di Kinshasa serve solo una spinta: quella che possono dare accoglienza, istruzione e cure mediche, ma anche l’ascolto dei loro sogni e desideri per il futuro.

 

Repubblica Democratica del Congo: un Paese enorme e complesso

Da solo ha un’estensione territoriale pari a mezza Europa e attraversa quasi tutta l’Africa. Ha una storia coloniale e post-coloniale difficile, e da una ventina d’anni sta vivendo una delle più gravi crisi umanitarie a livello mondiale. È infatti segnato da una guerra civile, che ha causato circa 6 milioni di morti. Grandi ricchezze naturali nel sottosuolo come diamanti, oro e coltan attirano gli interessi di milizie e gruppi armati di varia natura, lasciando in povertà gran parte della popolazione.

 

Come restiamo #viciniaibambini?

Nella capitale sosteniamo dal 2010 il centro “Point d’Eau”, che accoglie bambini di strada. “Solo a Kinshasa, che ha un’area metropolitana di oltre 17 milioni di abitanti, i bambini di strada sono decine di migliaia” – ha raccontato durante un incontro online con i nostri donatori Giampaolo Musumeci, giornalista esperto di Africa da anni vicino alla Fondazione. “Orfani o abbandonati, questi bambini diventano facilmente preda delle bande criminali. Uno delinque non perché è cattivo, ma perché vittima di condizioni di povertà ed emarginazione. Il lavoro di Mission Bambini in questo contesto è meritorio, perché non è facile prendere per mano questi bambini, restituire loro un senso e una motivazione, tirarli fuori dalla strada”.   

 

 

Al Centro i bambini trovano uno spazio sicuro dove poter mangiare una volta al giorno, curare l’igiene personale, lavare i propri indumenti, farsi medicare, apprendere a leggere e scrivere, fermarsi a dormire. “Il centro è gestito dall’associazione locale OSEPER e grazie al nostro contributo – racconta Maria Torelli, Program coordinator della Fondazione – copriamo i costi per l’accoglienza di 65 bambini ogni anno. Oltre l’aiuto immediato, l’obiettivo è quello di reinserirli gradualmente nel loro nucleo familiare – se possibile – o nella società, attraverso progetti educativi che puntano alla loro autonomia”.

Mauro Besana, volontario di Mission Bambini che ha potuto visitare il nostro Centro di Kinshasa nel 2018, ci racconta di un bambino che ha conosciuto: “Abigael aveva 9 anni. Nato con una zoppia, a 3 anni è stato abbandonato sui binari del treno dal padre, che addossa a lui la colpa della separazione dalla moglie. Altri bambini di strada l’hanno trovato e portato al Centro. Qui gli educatori sono riusciti a coinvolgerlo, nominandolo responsabile dei conigli. Col tempo ha acquisito fiducia: oggi gioca a pallone e può finalmente fare il bambino”.

 

Anche tu hai l’opportunità di sostenere in modo regolare il Centro “Point d’Eau” e regalare una seconda opportunità ai bambini di strada di Kinshasa.

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Storie di ragazze: l’opportunità di poter scrivere il proprio futuro

#educazione, #ragazze

In occasione della Festa della Donna abbiamo raccolto alcune storie: di ragazze, di donne, che hanno avuto l’opportunità di mettersi in gioco, di scoprire i propri talenti e poter cominciare a scrivere il loro futuro. 

Grazie ad Associazione Gruppo di Betania per avercele raccontate.

 

“Noi come bottoni”: il laboratorio creativo 

All’inizio – ci raccontano le ragazze – il laboratorio creativo di Villaluce era solo una porta chiusa che ci faceva paura, quella paura che prende ciascuno di noi di fronte a tutte le cose nuove. Poi l’abbiamo aperta, insieme. All’interno della stanza bottoni, stoffe, fili… tutto ai nostri occhi appariva inutile. Alla vista di quegli oggetti ci siamo spaventate, ci siamo sentite non all’altezza. Come potevamo utilizzare e trasformare tutto quel materiale in qualcosa di bello, capace di rallegrare noi nel creare e gli altri nell’ammirare? 

Superato quel blocco iniziale, in cui ci sentivamo incapaci di creare e ridare vita a quei bottoni ammassati, alle cassette di frutta raccolte al mercato, ai fili e alle stoffe sparse, tutto è diventato più interessante

Piano piano sono nate idee e questi oggetti hanno preso vita e, insieme a loro, anche noi! 

Il laboratorio creativo – continuano a raccontare – è infatti uno spazio che permette a noi ragazze di esprimerci, di trasmettere emozioni, di fare quel passo in più per raggiungere qualcosa di bello. Qualcosa che è dentro ciascuno di noi anche se spesso ce ne dimentichiamo. Qui ogni gesto diventa un’opportunità. Soltanto alla fine abbiamo capito l’importanza della ricerca: l’importanza di non mollare anche quando tutto sembra inutile e non vale la pena di provarci. Fare la fatica di superare quelle paure iniziali e fidarci di chi ci dice: “Vale la pena arrivare fino in fondo”

 

Dalla formazione al lavoro: la storia di Clara 

Clara*, originaria della Bolivia, è arrivata a Villaluce all’età di 15 anni, dopo alcune burrascose vicende familiari. Durante i primi mesi di permanenza in Comunità era molto timida, introversa. Faceva fatica a entrare in relazione con gli educatori e con le altre ragazze. 

Giorno dopo giorno, Clara inizia ad aprirsi con le sue compagne, facendo emergere alcuni aspetti di lei fino a quel momento celati: l’altruismo, la curiosità, la tenacia, la voglia di mettersi in gioco. Clara inizia inoltre a delineare i suoi obiettivi sia personali che lavorativi, primo tra tutti quello di poter lavorare in un ristorante, in particolare in sala. Essendo una ragazza piena di energia, decide di cercare un tirocinio adatto alle sue aspirazioni. La Responsabile del Servizio, Federica, contatta un ristorante che le sembra adeguato alle caratteristiche della ragazza: è un ristorante facile da raggiungere, non troppo frequentato e caotico, a conduzione familiare e quindi un ambiente molto accogliente. Il titolare del ristorante accetta di ospitare la ragazza in stage per 4 mesi e di formarla sulle mansioni. 

Inizialmente Clara, nonostante la grande motivazione, mostra alcune difficoltà legate alla novità del contesto lavorativo, all’ansia iniziale, alla fatica di mantenere alto il livello di concentrazione. Attraverso il supporto della Responsabile del Servizio, dell’educatrice di riferimento e dei colleghi, Clara riesce a superare le difficoltà iniziali e ad acquisire competenze e autonomie utili per professionalizzarsi come cameriera. Si dimostra più ricettiva, dinamica, desiderosa di imparare, maggiormente a suo agio nel contatto con i clienti. I riscontri dei titolari sono positivi e la ragazza diventa un membro importante dell’organico, tanto che alla fine dello stage decidono di chiederle di collaborare ancora con il ristorante, coprendo i servizi in sala nei week end. Clara accetta e firma il suo primo contratto vero e proprio. Clara è molto felice del suo percorso e si sta formando ulteriormente nel settore: nei suoi giorni liberi svolge infatti un’attività di apprendistato, per arricchire sempre di più il suo bagaglio di competenze trasversali e tecnico-professionali, così da costruirsi le basi per un futuro migliore

*nome di fantasia  

 

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Una carovana del sorriso per i bambini della Tanzania

#adozioni a distanza, #bambini, #educazione, #estero, #Tanzania

La nostra seconda missione all’estero ci ha portati in Tanzania, per visitare un nuovo progetto educativo a Mabilioni e per conoscere il partner locale. Ad accompagnare Maria Torelli – nostra program coordinator – anche Beppe Mambretti, Maruscka Nonini e Jeannette Rogalla, nuovi volontari della Fondazione e già volontari de “La Carovana del Sorriso”, a cui abbiamo dato il benvenuto durante l’estate.  

 

Dove ci troviamo? Il contesto e il popolo Masai

Il progetto si svolge a Mabilioni, nel comune di Hedaru: è una circoscrizione mista con una popolazione di oltre 18.000 abitanti, e dista 379 km dalla capitale della Tanzania, Dar Es Salaam. Il villaggio di Mabilioni dista 2 km dalla strada principale ed è al limite di un territorio popolato essenzialmente da Masai; ci troviamo infatti nella regione del Kilimanjaro, in piena steppa masai

Ed è proprio qui, al confine con il Kenya, che vive questo popolo antico che ha portato nella storia contemporanea le tradizioni del proprio passato. La loro lingua è il maa, dalla quale deriva il nome della popolazione. I masai sono tradizionalmente pastori semi-nomadi e il bestiame riveste per loro un’importanza vitale. I villaggi sono composti da rudimentali capanne rotonde costruite in legno e fango; al centro del villaggio è solitamente presente un recinto dove viene rinchiuso il bestiame durante la notte, per evitare gli attacchi dei predatori.

Anche gli abiti, spesso caratterizzati da stoffe di color rosso, sono rimasti immutati nel tempo; inoltre i masai indossano numerosi monili e gioielli, che tanto li rendono riconoscibili, su polsi, caviglie e collo. L’insieme dei colori utilizzati ha un significato ben preciso e aiuta ad identificare lo status sociale di chi li indossa.

 

Tanzania, al via un nuovo progetto

Ed eccoci giunti allo scopo del viaggio: visitare il nuovo progetto educativo a Mabilioni e conoscere il partner locale, i Brothers of Jesus the Good Shepherd. Ad accompagnare Maria Torelli c’erano dall’Italia anche i nostri nuovi volontari e già volontari de “La Carovana del Sorriso”, organizzazione di volontariato di Lecco che, dopo un impegno di 12 anni e la realizzazione di importanti opere per questa comunità, ha deciso di affiliarsi alla nostra Fondazione.

“Dando continuità al loro impegno – ci spiega Maria – la nostra Fondazione sosterrà “La Casa degli Angeli” di Mabilioni, struttura che accoglie attualmente 17 bambini e ragazzi che frequentano le scuole primarie e secondarie statali di questa località. Durante la mia permanenza ho visto con i miei occhi quanto i bambini siano trattati in maniera molto amorevole e attenta. La sveglia è alle 5 e i bambini escono per andare a scuola tra le 6 e le 6.30, a seconda della distanza. Ritornano all’incirca alle 17 e contribuiscono alla pulizia degli spazi e dei loro vestiti, alla cura degli animali, alla gestione del magazzino, nonché alla preparazione dei pasti: a seconda dell’età ciascuno svolge i propri compiti. Alla sera hanno sempre del tempo libero prima e dopo la cena. Il venerdì sera, in particolare, c’è una serata di sviluppo dei talenti, dove ciascun bambino può presentare una propria creazione o raccontare qualcosa: ecco come li si aiuta a sviluppare la fiducia in se stessi!”

Presso il Charity Village, di cui La Casa degli Angeli fa parte, vi sono anche uno spazio per attività ricreative, una chiesa dove i Brothers dicono messa ogni mattina, e un orto con ortaggi – per ridurre i costi degli acquisti esterni e per insegnare ai bambini a coltivare. Nella zona circostante sono stati piantati alberi e posizionati vasi con fiori e piante, per abbellire l’ambiente e creare ombra: ciò ha fatto sì che la zona si sia popolata anche di specie di uccelli variopinti. Esternamente al recinto è stato inoltre attrezzato un campo da calcio, per la gioia di grandi e piccoli.

 

“Cosa vuoi fare da grande?”: l’istruzione per aprire le porte del futuro

La scuola primaria si trova a 10 minuti a piedi dal Charity Village ed è frequentata da 9 bambini, mentre 8 ragazzi frequentano la scuola secondaria a Mabilioni.

Sostenuto dal progetto è anche un ragazzo masai, fortemente raccomandato dal preside della scuola del suo villaggio poiché talentuoso, che sta frequentando il terzo anno di scuola secondaria presso un college privato. A lui si aggiungono un ragazzo che sta per terminare l’Università, e una ragazza che frequenta il primo anno di Scienze della Formazione e che vorrebbe diventare insegnante. Un ragazzo ha invece da poco terminato il primo anno di scuola per elettricisti, mentre un altro inizierà a breve una scuola di arte e musica vicino alla capitale.

 

Alla scuola primaria e secondaria si è affiancata, nel 2019, la scuola dell’infanzia per bambine e bambini Masai dai 4 anni circa provenienti dal villaggio di Gunge, che dista 3 km dal Charity Village. Nelle aree circostanti, infatti, sorgono numerosi villaggi in cui vivono circa 800 bambini, per la maggior parte di etnia masai. Il nostro impegno è dunque quello di garantire l’accesso all’istruzione e il pranzo per tutti i bambini della pre-school, che dura generalmente 2 anni; può eventualmente durare anche di più, qualora i bambini cominciassero a frequentarla prima dei 5 anni, come talvolta accade. Questa è la fase più delicata, perché l’insegnamento dello swahili – la lingua ufficiale della Tanzania – permetterà ai bimbi di integrarsi nelle scuole statali.

La struttura, divisa in 2 classi, accoglie attualmente circa 70 bambini. Qui vengono insegnati swahili (lettura e scrittura), matematica (contare, somme, sottrazioni), nonché le nozioni base dell’inglese, su cui i bimbi vengono valutati a metà e a fine anno. I pasti per i bimbi vengono cucinati a turno dalle mamme e sono composti da porridge, mentre i bambini portano il latte da casa.

Un aspetto molto positivo, e un segnale di interesse verso l’istruzione dei bambini, è che ad aprile 2021 il nostro partner locale, nella figura di Br Valerian McHome, ha effettuato un incontro con 55 Masai, che si sono impegnati a contribuire economicamente per costruire una nuova aula: hanno già raccolto 300.000 TZS (circa 107 €) e metteranno a disposizione 10 acri per la scuola. Nel frattempo, hanno ripulito l’area e stanno iniziando a raccogliere pietre per la costruzione. L’aula sorgerà in una zona con anche spazi in ombra, dove i bambini potranno anche giocare. Nell’aula verranno accolte le due classi, ciascuna con la sua lavagna, mentre l’aula precedente verrà utilizzata per il culto.

“Br Valerian – ci racconta Maria – cena coi bambini 2-3 volte a settimana. Se qualche bambino si comporta male, gli viene chiesto il suo parere per responsabilizzarlo, per poi invitarlo a scusarsi con la persona offesa. I bambini si correggono anche tra di loro: vengono educati a sentire la casa come loro e a orientare i più piccoli. I più grandi contribuiscono inoltre alla gestione della casa. Per quanto riguarda il percorso futuro dei bambini, viene chiesto loro cosa vorrebbero fare da grandi, viene osservato il loro atteggiamento nei confronti degli altri, ad esempio per vedere se potrebbero essere dei bravi infermieri o insegnanti e, seguendo le loro inclinazioni e le loro passioni, vengono guidati nella scelta formativa.”

 

Ecco come continueremo a mantenere vivo il progetto e a prenderci cura dei bambini e dei ragazzi di Mabilioni e Gunge: dando loro nuove opportunità di vita attraverso l’istruzione, insieme.

 

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Le nostre missioni all’estero: un ritorno tanto atteso

#adozioni a distanza, #bambini, #educazione, #estero, #Kenya

Maria Torelli, nostra program coordinator per i progetti di educazione all’estero, è da poco tornata da una missione in Kenya. Si tratta del primo viaggio in epoca di pandemia, con l’obiettivo di monitorare i nostri progetti educativi di Bomet e Nairobi. 

 

Bomet e Nairobi: dove ci troviamo?

Bomet è il capoluogo dell’omonima contea, nell’ovest del Paese; il nostro progetto è situato a Chebole, una località distante qualche chilometro. I bambini che frequentano la scuola provengono da un’area molto vasta: alcuni la raggiungono grazie a uno scuolabus, altri hanno la possibilità di essere accolti direttamente nella struttura (a partire dai 10 anni) o presso la Laura Children’s Home (dai 3 ai 9 anni). 

Nairobi, la capitale del Kenya, continua ad essere una città economicamente molto in crescita. Maria ci racconta che le strade sono piene di cartelloni pubblicitari che invitano ad avviarsi verso un modello di maggior consumo, e i centri commerciali si stanno moltiplicando a vista d’occhio. La condizione dello slum di Donholm non è però ottimale: non è stata ancora portata l’acqua, e le famiglie continuano ad avere scarse risorse sia per contribuire ai costi della scuola che per mangiare. Le case costruite in lamiera e cartoni sono ancora affiancate alla discarica e alle fognature all’aperto, e la commistione tra persone e animali rende l’ambiente ancor più malsano. 

 

A Bomet, tutti a scuola!

Attraverso il racconto di Maria, andiamo a visitare il nostro progetto di Bomet. La prima struttura che incontriamo è la Laura Children’s Home, dormitorio maschile e femminile presso la casa della famiglia Bet – fondatrice dell’organizzazione nostra partner locale – che accoglie attualmente 12 bambini dai 3 ai 9 anni.

 

 

Ci spostiamo poi alla Mosop School, scuola dell’infanzia e primaria, con dormitori maschili e femminili, che accoglie 368 bambini. Mosop era il padre di Mr Bet, e il significato del nome è ‘un posto dove si può stoccare molto cibo’, e quindi, per estensione, un luogo di abbondanza.

La struttura della scuola è in muratura, ma con tetto in lamiera: “quando piove forte – ci spiega Maria – con le mascherine e il rumore della pioggia è molto difficile capirsi, anche a un metro di distanza”. 

 

 

La Mosop School, avviata da Mr. Bet, non offre solo educazione e cibo ai bambini che la frequentano, ma fornisce loro un modello di famiglia e di educazione che va ben al di là delle conoscenze scolastiche. Lo scopo del progetto è assistere e accogliere i bambini orfani, abbandonati o vulnerabili della zona, e offrire loro l’istruzione che meritano.

Dalla nostra visita alla scuola abbiamo appreso come alcuni ex studenti abbiano conseguito ottimi risultati lavorativi: c’è Petty, che è diventata una dottoressa negli Stati Uniti; Jeremiah, un ragazzo albino masai divenuto direttore di un centro medico; Ronnie, che dopo aver lavorato come addetto alla produzione di latte per procurarsi fondi per curare la madre sieropositiva, è oggi un infermiere.

Alcuni ex studenti hanno creato un’associazione, la Laura Children’s Home Alumni, e si trovano tutti gli anni, a maggio, per incoraggiare gli alunni attuali e svolgere attività di volontariato: quest’anno, causa pandemia, vi è stata solo una cerimonia veloce. Con il passare del tempo, come ci racconta Maria, tutti loro potrebbero diventare risorse preziose per la scuola e la comunità: ad esempio come supporto di un insegnante nella realizzazione di attività pomeridiane, per passare del tempo con i bambini, incontrarli durante i giorni di visita o fare piccoli lavoretti. Questo, anche col passare degli anni, li farebbe sentire ancora parte della famiglia della Mosop. 

 

Allontanandoci da Bomet, visitiamo infine la scuola di Kuresoi: ci vogliono circa quattro ore di auto per raggiungerla, e la strada è in pessime condizioni. È una scuola dell’infanzia e primaria che accoglie oggi 173 bambini, di cui alcuni orfani; la struttura, come la maggior parte delle case della zona, è in legno e con il tetto di lamiera, segnale del contesto difficile in cui vivono i bambini.

 

 

 

A Nairobi, istruzione per i bambini degli slum

Proseguiamo con l’ultima tappa del nostro viaggio, recandoci al Centro Mother of Mercy nelle due strutture che sosteniamo: la scuola dell’infanzia e primaria di Kariobangi, che accoglie attualmente 190 studenti, e la scuola dell’infanzia e primaria di Donholm, con 161 studenti. 

Il Centro ha l’obiettivo principale di garantire ai bambini delle baraccopoli e dei quartieri poveri un’istruzione di qualità, poiché l’istruzione per loro è l’unico spiraglio verso il futuro. A scuola gli studenti ricevono anche un pasto, il materiale didattico, il vestiario e l’assistenza sanitaria. 

 

 

La scuola è sempre di più un punto di riferimento per i bambini, e un terreno di scambio e socializzazione tra grandi e piccoli. “Un giorno – ci racconta Maria – nello spiegare il funzionamento di alcuni giochi recuperati nel magazzino della nostra Fondazione, mi sono ritrovata a fare insieme ai bimbi un puzzle da 500 pezzi. È stato interessante vedere quanto si sono appassionati non solo i bambini, ma anche le direttrici e alcuni insegnanti, che hanno pensato di poter utilizzare il puzzle come strumento di team building all’interno delle classi.”

 

È stata questa una missione tanto attesa dopo quasi due anni di pandemia; uno sguardo dal campo non solo con lo scopo di visitare e monitorare un nostro progetto, ma anche per toccare con mano la quotidianità vissuta dai bambini e dai ragazzi che risiedono in un Paese così lontano, ma che grazie a questo racconto possiamo sentire un po’ più vicino.

L’allenamento di Marco, per segnare il primo goal nella rete del futuro

#educazione, #NEET

A pochi giorni dalla ripresa dei nostri corsi abbiamo chiesto a Marco, uno dei partecipanti dell’edizione di ottobre, di raccontarci cosa porta con sé di ‘AllenaMenti per il Futuro’: ci parla di una ritrovata autostima, della voglia di mettersi in gioco e di trovare la propria strada nel mondo.

 

Passo dopo passo verso il raggiungimento dei propri obiettivi

Focalizzarsi sulle proprie capacità e competenze: è questo il primo obiettivo che si è posto Marco frequentando il corso di ‘AllenaMenti per il Futuro’, che da aprile vede il contributo di Fondazione Cariplo e la collaborazione di La Strada.

“Questa esperienza mi ha permesso di concentrarmi su me stesso, grazie a lezioni, attività e approfondimenti guidati dalle disponibili e preparate coach. Ognuna di loro è stata fondamentale per la mia crescita: hanno saputo ridarmi quella autostima che avevo perso negli anni, mi hanno fatto riflettere e mi hanno aperto gli occhi su un mondo, quello del lavoro, che non avevo capito appieno.”

 

 

Frequentare questi corsi è stata per Marco un’avventura, come la definisce lui stesso, che gli ha dato la possibilità di mettersi in gioco.

Ho scoperto e riscoperto ciò che posso dare, ho risolto dubbi e incertezze sul futuro dovuti alla paura di non essere all’altezza. Da tanto, anzi troppo tempo, avevo un peso sulle spalle, un peso dovuto ad aspettative non rispettate e una serie di scelte errate.”

Grazie a questo corso, lezione dopo lezione, Marco ha potuto mettere a fuoco qual è la sua strada: quella del giornalismo sportivo, che lo ha sempre affascinato e appassionato.

“Mi piace dedicarmi alla scrittura e amo scrivere di calcio. Ora ho finalmente capito che cosa devo fare, e dare, per arrivare al mio obiettivo; un obiettivo faticoso che però, giorno dopo giorno, vedo sempre più concreto. Esco arricchito da questo corso: ho conosciuto persone splendide e da ciascuna di loro sono riuscito a prendere qualcosa che mi servirà nel mio futuro, personale e lavorativo.”

 

Il piccolo Dario* è tetraplegico: ai disturbi motori sono associati disturbi visivi. È sempre seduto su una speciale sedia a rotelle o su un’altra per farlo giocare per terra. A 18 mesi arriva al nido sostenuto a Napoli da Mission Bambini e inizia un percorso di crescita e inclusione che diventa un’opportunità per tutti.

“Quando arriva da noi – ci racconta Annarita, Responsabile del Centro per l’infanzia – Dario è come un piccolo bambolotto, praticamente inerme. Ha 18 mesi, ma ne dimostra molti di meno, per aspetto fisico e per tutto il resto. I genitori comprensibilmente avevano grossi timori a lasciarlo, nonostante la consapevolezza di quanto potesse essere importante per lui frequentare il Centro.”

Con il passare dei mesi, Dario al nido viene gradualmente coinvolto nei giochi e nelle attività degli altri bambini, rispettando i suoi tempi e le sue esigenze.

“Al nido Dario ha iniziato un percorso con una psicomotricista – continua Annarita. È un lavoro che si integra con quello che svolge durante le sue normali terapie, ma l’obiettivo è diverso: favorire lo sviluppo delle sue competenze in ambito relazionale. Attraverso diverse tappe personalizzate, infatti, imparerà a mettere in atto strategie comunicative che gli permetteranno di interagire con gli altri bambini. Sarà per tutti, per Dario come per tutti gli altri, una fondamentale palestra relazionale in cui sperimentarsi e scoprire nuovi modi di stare insieme.”

 

Opportunità di crescita e inclusione, per tutti i bambini

Con l’ingresso al nido Dario ha iniziato un percorso di inclusione intesa come opportunità per chi si trova nella situazione di disagio, come per chi non lo è, perché impara a non temere la diversità. Apriamo le porte del nido a tutti i bambini, anche ad esempio ai molti bambini di famiglie in difficoltà, che non possono sostenere il costo della retta. Contrastiamo la povertà educativa nel nostro Paese: regaleremo a tanti altri bambini, come a Dario, un presente e un futuro diversi!

 

* è stato utilizzato un nome di fantasia per garantire la privacy del bambino.

#RidisegniamoLaScuola con Mediolanum: accogliente, inclusiva e al passo con i tempi.

#bambini, #educazione, #Italia, #progetti

Sabato 24 e domenica 25 ottobre, nelle piazze d’Italia, è tornato il nostro evento a sostegno dei bambini in difficoltà. Quest’anno #RidisegniamoLaScuola e lo abbiamo fatto insieme a Fondazione Mediolanum e ai family banker di Banca Mediolanum. Sono proprio loro a raccontarci che cosa li abbia spinti a unirsi a noi e come vorrebbero la scuola del futuro.

 

La scuola non ci lasci indietro. Non lasciamo indietro la scuola.
Stefano Graziotto, Global Family Banker FBO Mediolanum Treviso

“Credo che mai come in questo periodo iniziative benefiche che hanno al centro la scuola siano da perseguire a tutti i livelli: a maggior ragione a livello individuale. Ho tre figli in età scolare e universitaria, sono figlio di insegnanti e io stesso ho insegnato per un breve periodo. È un tema quindi a me caro.
E questo è il motivo che mi ha spinto a partecipare all’evento.

Quello che voglio dire a bambini e ragazzi è che ci vuole un po’ di sano spirito di iniziativa da parte loro nell’andare a reperire sul web – dai TED Talks ai canali tematici su YouTube – ciò che serve alla loro formazione, quando la didattica a distanza li costringe a stare a casa.”

 

 

Vorrei una scuola che insegni ai nostri figli il valore della vita, della solidarietà, della cultura.
Fulvio Annichiarico, Global Family Banker Banca Mediolanum, Family Banker Office Special Mestre

“Ho aderito all’iniziativa di Mission Bambini, in collaborazione con Fondazione Mediolanum, perché ritengo veramente importante e fuori dal comune aiutare le famiglie in difficoltà nel nostro Paese, affinché i loro figli possano agevolmente accedere all’istruzione scolastica in tutte le sue componenti.
L’istruzione e la cultura sono bisogni essenziali per la crescita dell’uomo; senza cibo e calore il nostro corpo muore, ma nell’ignoranza muore il nostro spirito. Una popolazione che ha ricevuto la giusta istruzione fa crescere la propria cultura e le proprie competenze in tutti i campi, migliorando lo stile di vita e l’educazione delle persone.

Io vorrei una scuola che accompagni i ragazzi a diventare adulti capaci, seri e competenti. Per questo vorrei che per la scuola fossero destinati fondi sufficienti per delle infrastrutture solide e sicure, per la formazione continua del corpo insegnante, che va valutato per la propria competenza e per il proprio impegno e stile educativo, e soprattutto per programmi di insegnamento che creino donne e uomini che portino in se stessi quei valori che possono fare crescere nel bene la società.”

 

 

La scuola è chiamata a essere in grado di trasmettere conoscenza, abilità e valori ‘più al passo con i tempi’.
Luca Zambon, Private Banker Manager Treviso

“Il mio desiderio di aderire all’iniziativa nasce dalla volontà di fare qualcosa di utile per gli altri e, visto che sono padre di tre figli, di dare un contributo alla crescita di coloro che saranno responsabili di questo mondo quando non ci sarò più. E in questo tema la scuola ha un ruolo certamente molto importante.

Dal mio punto di vista, sicuramente influenzato dalla realtà scolastica in cui vivono i miei figli, credo che ci sia bisogno di spazi più ampi, di palestre e spazio per sport all’esterno, di maggiori uscite e contatti con il territorio e di maggiore utilizzo di supporti informatici/digitali. Mi rendo conto che quanto scrivo, sebbene racchiuso in poche parole, richiede dei cambiamenti che sono difficili da attuare (sia da un punto di vista economico, ma anche da un punto di vista di cambio di abitudini mentali). Tuttavia, credo che sia, allo stesso tempo, una responsabilità della generazione che oggi può fare qualcosa (e certamente la mia generazione è quella chiamata in causa), anche partendo dalla semplice adesione all’iniziativa #RidisegniamoLaScuola.”

 

 

Vorrei una scuola in cui si possano vivere e sperimentare i valori dell’amicizia e della solidarietà.
Elisa Bussolo, Family Banker, Ufficio dei Consulenti di Alessandria – Regione Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta

“Ho aderito all’iniziativa #RidisegniamoLaScuola poiché ritengo fondamentale il diritto all’istruzione e questa pandemia, oltre ad aver generato distanziamento fisico tra le persone, rischia di essere causa di un forte distanziamento culturale. Tutti i bambini e i ragazzi hanno diritto allo studio, indipendentemente dalla loro condizione economica, ed è nostro dovere sostenere le persone più fragili.

Io vorrei che ogni studente fosse felice di recarsi a scuola la mattina, vorrei una scuola che possa essere una palestra di vita. Perché il nostro futuro e quello del nostro Paese sarà nelle mani delle nuove generazioni, ma sta a noi dar loro gli strumenti ideali per rendere il mondo un mondo migliore.”

 

La scuola come luogo di accoglienza, inclusione e condivisione.
Andrea Seno, Family Banker e tesoriere del FBO di Mirano – Venezia

“Con i colleghi di Agenzia abbiamo aderito con entusiasmo all’iniziativa #RidisegniamoLaScuola perché pienamente consapevoli che, da sempre, cultura è emancipazione, cultura è libertà. La scuola, dunque, deve essere luogo di cultura intesa anche come accoglienza, esempio di inclusione e condivisione, dove poter coltivare le proprie potenzialità e aspirazioni.

Sogniamo una scuola che accolga gli alunni e gli insegnanti in locali sicuri e confortevoli, una scuola con maestri e professori motivati che trasmettano il loro amore per il sapere. I bambini sono il futuro, sta a noi adulti e alle Istituzioni garantire loro un presente sereno, anche con un adeguato supporto allo studio.”

 

 

La scuola di domani è la scuola di tutti, dove il talento viene coltivato e il merito riconosciuto.
Mauro Scaranello, in rappresentanza del Gruppo di Collaboratori del FBO di Saronno – Varese

“Siamo un gruppo di donne e uomini che credono che il loro ruolo di Family e Private Banker sia prima di tutto una professione al servizio delle persone. Giovani e meno giovani, ma tutti consapevoli che l’essenza della natura umana è nell’essere solidali. Un futuro solidale si costruisce alimentando la speranza che sia migliore, non solo per il singolo, ma per l’umanità intera. La speranza si fa voce attraverso la conoscenza e la conoscenza significa per prima cosa scuola.

La scuola di domani è la scuola dei bambini ma anche degli adulti, che sono chiamati a riversarvi la loro esperienza affinché nessuno resti indietro nella vitaÈ una scuola dove le nuove tecnologie si innervano sui valori della persona, dove il rispetto dell’altro viene prima di una foto postata in chat. È la scuola che si batte per il futuro del pianeta e per insegnare stili di vita sostenibiliÈ una scuola di cui non puoi farne a meno, perché getta ponti e non erige steccati. W la scuola!”

 

 

Una scuola dove ogni bambino e ragazzo possa esprimere se stesso serenamente.
Aurelio Zangheri, Wealth Advisor, Family Banker Office di Tolentino e Presidente del Consorzio Mediolanum di Tolentino – Macerata

“Ho aderito all’iniziativa poiché sono particolarmente sensibile nei confronti di progetti che coinvolgono i bambini e la loro istruzione. I bambini sono il nostro futuro e sono loro che potranno cambiare il mondo. Ogni bambino ha il diritto ad avere un’istruzione degna e completa. Solo l’istruzione dà la possibilità di essere liberi e consapevoli per fare le proprie scelte.

La scuola dovrebbe essere il luogo dove ci si dovrebbe sentire protetti e considerati e dove la propria opinione dovrebbe avere un peso. Il luogo dove la didattica e la socialità si fondono.”

 

 

La scuola come palestra di vita.
Vincenzo D’Ippolito, Family Banker Manager, coordinatore di 30 Family Banker e di due Uffici dei Consulenti Finanziari – Palermo

“Ho aderito all’iniziativa perché credo fortemente nel progetto #RidisegniamoLaScuola e nella Fondazione Mediolanum.
Ho chiesto ai miei collaboratori come vorrebbero fosse la scuola, come la immaginano per i bambini e i ragazzi e questa risposta è quella in cui mi rivedo e che mi ha colpito di più:

Immagino la scuola una palestra di vita che serva alle future donne e ai futuri uomini del domani a essere liberi di pensare e agire. Come diceva Maria Montessori: seminate nei bambini buone idee, perché, anche se oggi non le comprendono, un giorno fioriranno.”

 

 

Una buona ed efficiente didattica, per dare a tutti le stesse opportunità.
Lanfranco Ferroni, responsabile dell’Ufficio dei Consulenti Finanziari di Civitanova Marche – Macerata

“Mission Bambini è una fondazione italiana che da 20 anni si impegna per aiutare i bambini in difficoltà, perché sono loro il futuro del mondo. Non potrei essere più d’accordo ed è proprio per questo che ho deciso di aderire all’iniziativa e partecipare al loro evento #RidisegniamoLaScuola.

Per me è importante aiutare chi è meno fortunato di noi e io posso farlo proprio a partire dalla scuola: vorrei che avesse gli strumenti necessari per una buona ed efficiente didattica, che sia per tutti e che dia a ciascuno studente le stesse opportunità.”

 

 

Vai sulla nostra pagina dedicata e scopri come anche tu puoi lasciare un segno con la nostra matita Perpetua.
#RidisegniamoLaScuola, insieme!

#RidisegniamoLaScuola con Jacaranda: l’istruzione come nutrimento per la crescita personale

#bambini, #educazione, #progetti

Tre ragazze con attitudini e passioni diverse, ma unite da una grande amicizia e da un’idea, divenuta realtà durante il lockdown: ascoltare i desideri delle persone, trasformarli in creazioni artistiche e allo stesso tempo fare del bene.
Ecco come con il progetto Jacaranda Charity Valentina, Cristina e Barbara hanno iniziato a ridisegnare la scuola insieme a noi.

 

Le ragazze di Jacaranda Charity: un progetto nato da un desiderio comune

La storia della nostra amicizia è nata anni fa, precisamente al liceo, ricorda Valentina Ferron, una delle tre fondatrici. Siamo sempre state molto diverse tra di noi, ma questa diversità ha reso ancora più speciale il nostro rapporto.

 

Così Cristina – creativa del gruppo e amante del ricamo -, Barbara – precisa, versatile e maga della tavoletta grafica -, e Valentina – biologa con la passione del disegno a matita -, hanno unito le loro diversità per dare vita a Jacaranda Charity.

Il nostro progetto è nato da un desiderio comune, che durante il periodo di lockdown ha avuto modo di concretizzarsi, continua Valentina. Gli studi artistici ci hanno permesso di sviluppare la nostra creatività, che in questo caso è diventata protagonista e strumento della nostra attività.

L’idea di Jacaranda è infatti quella di realizzare disegni, ricami e stampe, il ricavato della cui vendita sarà destinato a progetti umanitari che a tutte loro stanno a cuore.

Ed è così che Valentina, Cristina e Barbara si sono avvicinate alla nostra Fondazione e ai nostri progetti, primo fra tutti #RidisegniamoLaScuola: in questo momento così difficile, sembra che l’istruzione sia stata messa un po’ in secondo piano; noi vogliamo evidenziare l’importanza della scuola, sia per una crescita culturale, ma soprattutto personale.

 

 

Jacaranda, una metafora per la scuola di oggi

Il nome Jacaranda deriva da una pianta originaria delle regioni tropicali del Sud America, caratterizzata da una chioma colorata che abbellisce i paesaggi, dando respiro a tutti gli esseri viventi.

Il nostro progetto, infatti, – racconta Valentina – si basa proprio su questa idea: raccogliendo i desideri delle persone, restituiamo loro qualcosa di bello e allo stesso tempo aiutiamo chi ne ha più bisogno.

Jacaranda racchiude in sé una metafora ora più che mai attuale: come la pianta raccoglie il nutrimento dal terreno e lo trasforma in una bellissima chioma rigogliosa, così la scuola dona il nutrimento ai suoi alunni, che lo fanno proprio e lo restituiscono sotto forma di domande, pensieri e idee.

Chiediamo a Valentina: come possiamo ridisegnare la scuola? Sviluppando il pensiero creativo. La creatività è un’abilità che va allenata e curata con tanta pazienza. È un forte mezzo che può aiutare ognuno di noi a vedere le cose da una diversa prospettiva.

Proprio per questo motivo è importante partire dal principio, dai bambini. Vorremmo una scuola che riesca ad aiutare i più piccoli a coltivare il loro lato creativo, continua Valentina. Sarebbe bello dare spazio al “fatto a mano”: bisogna farli sperimentare, dando loro la possibilità di essere stimolati e permettendogli di comprendere ciò che li circonda.

 

 

E tu come vorresti che fosse la scuola del futuro?
Scopri di più sul nostro progetto e scrivici il tuo messaggio sulla nostra pagina dedicata.
#RidisegniamoLaScuola, insieme!

La Giornata Mondiale di Educatori e Insegnanti: quando educare significa cura, scoperta e arricchimento reciproco

#bambini, #educazione, #fattiGRANDE, #genitori, #Italia, #progetti

Il 5 ottobre è la Giornata Mondiale di Educatori e Insegnanti: in un momento in cui si parla tanto di scuola, di asili e di centri per l’infanzia, abbiamo voluto ascoltarli e dar voce proprio a loro. Ecco perché gli abbiamo chiesto che cosa li motivi e li appassioni, quali siano difficoltà e speranze, sempre e dopo la pandemia.

 

Servizi per l’infanzia: un tempo di scoperta, di crescita, di cura

La cura, come disposizione a far crescere l’altro partendo dai suoi bisogni e favorendo le sue potenzialità, è la cifra stessa dell’educare.
Franca e Gabriella, educatrice e coordinatrice pedagogica presso Asilo Primi Passi

“Chi conosce bene gli educatori sa che nelle loro case, oltre ai familiari, c’è quasi sempre anche qualcun altro di cui prendersi cura: quanti schermi durante il lockdown ci restituivano immagini domestiche con gatti, cagnolini, piante, fiori! Una cura che si dispiega nell’esercizio continuo di una passione vitale: l’attenzione all’altro.

Spesso ci tornano in mente i nostri nonni contadini: la campagna era la loro vita, un mondo di cui si sentivano parte, le cui necessità venivano prima del proprio io. Sapevano che la natura aveva i propri tempi, osservavano il cielo per capire cosa si preparasse e le foglie per sapere di cosa la pianta aveva bisogno. Soprattutto, nell’attesa, sapevano sperare: speravano nella forza di quei semi che avevano interrato, bagnato, concimato, scommettevano che ancora una volta la vita avrebbe saputo farsi strada e riprendere il suo ciclo nonostante la grandine e la siccità.

Questo è quello a cui ci sentiamo chiamati oggi: sperare per i nostri bambini, restituire loro un futuro fatto di stupore, di scoperta, di novità e non solo di paura. Ci è sembrato che restituire il contatto con la natura potesse aiutare: la natura è molto più che ‘fare attività all’aperto per ridurre i rischi di contagio’, ormai è chiarissimo che il futuro dell’intera umanità è indissolubilmente connesso con il rispetto e la cura per il proprio ambiente. Abbiamo scelto allora, come tema guida dell’anno, la storia di un piccolo seme: un semino temerario, che attraversando mille avventure, scopre le proprie risorse e cresce. Nel nostro piccolo orto, ben curato nella speranza che il nido riaprisse, quest’estate sono fioriti i girasoli: ora il ciclo della vita riprende il suo corso e i bambini sgranano i semi di quei girasoli per interrarli, con gioia e meraviglia.”

 

Sono sincera nel dire che il cuore rimane lì, in quel desiderio profondo di educare, perché nulla ti arricchisce di più di uno sguardo, di un sorriso, di un abbraccio di un bambino!
Francesca Porciatti, coordinatrice pedagogica Asilo Nido ‘Mondo Piccolo’

“Faccio la Coordinatrice Pedagogica dell’asilo nido Mondo Piccolo e della scuola dell’infanzia Piccole Tracce da 12 anni. Quando mi fu affidato questo incarico non credevo di essere in grado di riuscire in un ruolo così ‘ingombrante’; avevo appena 27 anni, mi ero laureata per fare l’educatrice, per stare con i piccoli, per vivere quelle piccole magiche esperienze di contatto, di crescita, di relazione speciale, e venivo invece catapultata in un universo di burocrazia, di carte, di telefonate, di incontri con le famiglie. Era demotivante sentirsi dire dai genitori, magari dopo una richiesta a cui non si poteva dare seguito, ‘con chi posso parlare?’, come se io non fossi all’altezza del compito e che doveva esserci un responsabile più ‘responsabile’ di me.

Le crisi d’identità si facevano macigni, decisi così di parlarne con la mia direttrice, dicendole che non mi sentivo all’altezza del compito. Ricordo ancora il suo sguardo perplesso mentre mi diceva: ‘perché ti ostini a rifiutare i tuoi talenti?’. Quella frase mi segnò nel profondo del cuore, la mia difficoltà nasceva dalla mia insicurezza? Arrivò l’ennesimo ‘con chi posso parlare?’. Indossai il più sincero dei miei sorrisi e risposi, per la prima volta, ‘con me!’. Cominciò così il primo di una lunga serie di incontri, mediazioni educative, consigli, materni e pedagogici, con i genitori dei nostri piccoli, che non erano mostri come li avevo visti fino a quel momento, ma semplicemente persone cariche di bisogni da soddisfare.

Oggi posso dirlo a gran voce, amo il mio lavoro, adoro essere di supporto alle mamme in difficoltà, adoro essere la guida delle educatrici nelle attività, continuare a studiare, giorno dopo giorno, per ricercare nuove esperienze e percorsi da proporre al personale educativo e ai genitori.

Certo, la ripresa delle attività è partita con grandi ansie; la gestione dei protocolli ci sembrava impossibile, rimpallate tra attenzioni e responsabilità. In realtà però, una volta interiorizzate le prassi, tutto è diventato più fluido. Certo, il nostro lavoro ha subito un grande colpo: l’utilizzo delle mascherine, il distanziamento, l’impossibilità di svolgere attività con i genitori… tutto ciò limita profondamente il nostro operato, privandoci di momenti fondamentali del fare pedagogico. Siamo però certe che presto si tornerà alla normalità, e riusciremo a ricominciare esattamente dal punto dove siamo state interrotte. Nel frattempo studiamo, alla ricerca di nuove proposte per ritornare a vivere, tutti insieme, momenti magici e indimenticabili!”

 

Essere educatori è una missione. È un continuo programmare, cercare stimoli, scrutare le intelligenze dei bambini per stimolarle al meglio. Ne vale davvero la pena, non potrei far altro nella vita se non stare con i bambini.
Tonia Spinelli, educatrice presso Asilo Nido La Tribù dai Piedi Scalzi

“Il mio non è un lavoro: il mio è un tempo di crescita, un tempo di dono, di sorrisi, di amore, di grandi conquiste, dove a crescere sono io con i miei  bambini, io educo loro e loro educano me, in uno scambio continuo. Vedere i loro progressi, soprattutto a seguito degli stimoli adeguati e studiati, spesso personalizzati, vedere i loro successi, il loro orgoglio nel raggiungimento di un obiettivo, accompagnarli nella crescita: è questo che mi motiva, oltre che l’amore e la passione per ciò che faccio. E nonostante la stanchezza, si torna a casa felici e arricchiti e con il desiderio di ripartire l’indomani e dare il meglio di sé.

A poche settimane dall’inserimento, i bambini hanno già appreso la routine. Mi chiedono di leggere libri, poi di rappresentarli e fare disegni sul racconto: mi piace pensare di esser riuscita in così poco tempo a trasmettere l’amore per i libri e la lettura. Di certo l’entusiasmo con cui mi appresto a leggere è il canale giusto, ma anche la routine e la loro apertura all’ascolto e alla meraviglia.

I nuovi iscritti stanno sicuramente vivendo una fase di inserimento un po’ più ‘dura’ rispetto agli scorsi anni, non sul piano ‘personale’ e del distacco (ambito in cui tutto rientra nella norma degli scorsi anni), ma su quello interpersonale e di conoscenza dell’adulto che hanno di fronte: con la mascherina e la visiera protettiva non riescono a interpretare le emozioni ed espressioni di noi adulti, appaiono confusi e spesso cercano di togliercele, facendo delle espressioni tra l’incuriosito e il perplesso. I vecchi iscritti, conoscendoci già, riescono a leggere i nostri occhi e non appaiono infastiditi dai dispositivi di protezione, da cui ormai sono circondati.

Ormai si sorride con gli occhi, o battendo le mani… i bimbi apprendono in fretta e si adattano in fretta, tanto che a volte mi chiedo se ricordano più com’era il mondo prima del Covid. Spero presto di potermi chiedere ‘chissà se ricordano com’era il mondo ai tempi del Covid…’.”

 

Da educatrice, è la curiosità nello scoprire e nel vivere nuovi colori ed emozioni la motivazione che, anche in questo momento di difficoltà in cui il grigio si fa spazio, mi fa accogliere quegli sguardi e provare a mostrare ai bimbi una nuova variante di colori.
Francesca Amabile, educatrice presso Centro Infanzia Pizzicalaluna – Cooperativa Solidee

“Capita a tutti di attraversare momenti grigi, bui, non ben definiti. E poi ecco che qualcosa arriva ad illuminare piano piano quei momenti. Succede che un giorno, per caso, ti trovi nel bel mezzo di un arcobaleno di colori, che non spazza via il grigio ma che gli fa compagnia, e lo rende meno triste, più sopportabile. Ricordo così il mio primo giorno di lavoro all’ associazione di volontariato ‘Volideali’.

Lavoravo con bambini, piccoli e grandi, che si aggiravano liberi nella struttura che rappresentava il loro e il mio luogo del cuore, dove si andava per stare insieme. Ricordo un laboratorio con tanti materiali, pieno di tanti rumori, suoni di pennarelli che cadono, sedie che si spostano, risate che coprono il mio ‘Buongiorno’ ma che non bloccavano, appena venivo avvistata, decine di braccia che mi avvolgevano e accoglievano. E poi ricordo i tanti sguardi che si incrociavano con il mio, anche quelli di tanti colori: occhi verdi, neri, marroni, azzurri… i colori dell’arcobaleno. Il tutto era immerso in un sano caos, perché nella struttura tutti erano intenti a fare qualcosa insieme, educatori e bambini, cooperando per portare a termine un lavoro: facile o difficile, bello o brutto non importava. Tutti utilizzavano colori ed emozioni, dando vita ad un’esperienza quasi magica, la magia dello stare insieme e del crescere insieme.
Questo è il mio ricordo di tanti anni fa, quando da volontaria mi recavo alla struttura dell’associazione di volontariato “Volideali” per svolgere attività con i bambini.

Oggi, da educatrice, mi reco in un nuovo luogo del cuore, il centro infanzia ‘Pizzicalaluna’, dove ritrovo altri sguardi, ma carichi della stessa intensità, braccia più piccole che ti si buttano al collo, bambini pronti ad essere accolti, suoni e risate. Poi ci sono loro, più forti e più marcati, perché con il passare del tempo e con la crescita personale e professionale se ne sono aggiunti altri: i colori. I colori di nuove e vecchie emozioni che vanno ad accumularsi su una tela che prende e cambia forma.”

 

Il nostro compito e insieme la nostra motivazione è di dare ai bambini la libertà di conoscere qualcos’altro, di creare relazioni semplici ma significative.
Maria Elena Trovato, educatrice presso Associazione Talità Kum

“La motivazione più forte per me riguarda il territorio: noi di Talità Kum viviamo infatti in un territorio molto difficile, dove tocchiamo con mano il disagio che colpisce molti bambini, fin da piccoli. Il nostro è un territorio ampio, in cui manca qualcosa di importante: la cura – dall’igiene all’educazione ai valori, che non tutti hanno o avranno la fortuna di riconoscere, perché a casa mancano.

Ed è proprio nello stare insieme che, dopo la pandemia, abbiamo trovato il punto dal quale ripartire: nonostante le mascherine e un iniziale impaccio, è stato bellissimo rivedere e riconoscere nei bambini la solita curiosità nell’osservare il nostro sguardo, le cose e le persone intorno a loro, e sentirsi parte nuovamente di una comunità. Noi ci siamo normalizzati grazie alla loro voglia di creare un filo rosso tra noi e loro, nonostante tutto.”

 

 

La scuola: un luogo di dialogo, relazione e arricchimento reciproco

Si pensa all’insegnante di sostegno come a un insegnante di serie B, un ripiego. Io lo considero invece “un battitore libero”: può permettersi di sperimentare, lavorare creativamente in un’ottica di didattica attiva e laboratoriale per perseguire degli obiettivi calati sui reali bisogni dei bambini.
Natan Sustovich, insegnante presso IC Confalonieri

“Faccio questo lavoro principalmente per me, perché mi fa stare bene e mi fa uscire tutte le mattine col sorriso. Credo che questo faccia la differenza, perché se riesco a sentirmi a mio agio in ciò che faccio, allora posso prendermi cura, intesa come sostare in relazione e raccontarsi vicendevolmente, degli alunni. Parlando con la mia compagna dei nostri lavori, scuola versus ufficio, spesso mi fa notare come ci sia, in ciò che facciamo quotidianamente, una differenza evidente a livello di soddisfazione personale. Ogni tanto le dico che potrei fare il concorso da preside, ma lei mi risponde che non fa per me perché dentro un ufficio morirei, perdendomi tutto il bello dell’insegnamento. E in effetti ha ragione: lavorativamente parlando ho iniziato come informatico, per poi capire che è un mondo che non fa per me. Non ho mai voluto lavorare tutto il giorno con delle macchine, ma con le persone, mi piace essere in relazione con la gente.

Se ripenso a me da bambino, ero uno di quelli ‘bravo ma non si applica’ e fondamentalmente non mi piaceva andare a scuola. Preferivo giocare con gli amici, sognando di diventare un calciatore, e dormire alla mattina. Se da bambino mi avessero detto che avrei fatto l’insegnante mi sarei messo a ridere considerando che odiavo la metà dei miei maestri e/o professori. Ho smesso di avere quest’odio in terza liceo: qui ho conosciuto dei professori che hanno fatto sì che si rivoluzionasse la mia concezione di scuolaPreferivano dialogare con noi dal posto, creando una sorta di dibattito funzionale che serviva non solo a capire cosa avessimo studiato, ma che andava a indagare il nostro ragionamento, il funzionamento di ognuno di noi. Probabilmente questo modo di agire, inconsciamente, mi ha spinto a diventare un insegnante. Io stesso, ora che lavoro anche come assistente in università, quando interrogo gli studenti cerco sempre di indagare il ragionamento che sta dietro e l’applicabilità di un determinato approccio o teoria, piuttosto che il mero esercizio dell’imparare a memoria dai libri.

Ora, con il rientro a scuola dopo la pandemia, sono stato piacevolmente colpito dai bambini, dalla loro voglia di normalità, di fare gruppo, di sostare in relazione gli uni con gli altri. Sono rimasto sorpreso dal loro modo di essere comunque bambini anche in una situazione così precaria come quella odierna della scuola italiana. Ritengo sia un segnale molto importante quello che ci stanno lanciando i bambini: un segnale di ripartenza, con le giuste precauzioni, ma da esseri umani e sociali.”

 

C’è un momento in cui una persona intuisce quale sia il suo posto o meglio per che cosa sia fatta. Ai miei alunni ripeto sempre che la vita, l’andare a scuola in particolare, è la scoperta continua di questo.
Elena Brasca, insegnante presso IC “Ermanno Olmi”, plesso Marie Curie

“Faccio spesso un esempio ai miei studenti: ‘Cosa potrebbe fare Valentino Rossi? Solo il motociclista! Lui è fatto per andare in moto! Il suo posto è in pista!’ Sì, perché è lì che si svela e si riconosce pubblicamente il suo talento, ma anche la forza di rimettersi in sella quando cade o accettare la sconfitta. Questa è la scuola: il luogo dove pian piano emergono i propri talenti accanto ai propri limiti. Si sperimenta il successo, qualche volta l’insuccesso, e il contributo che ognuno di noi può apportare. L’insegnamento non è mera didattica, ma l’accompagnare i propri alunni alla scoperta di sé. La scuola è il luogo privilegiato dove il rapporto affettivo ed educativo con i miei alunni si realizza.

Per me questa intuizione è nata da una sana invidia: ‘Voglio essere come lei!’ dicevo guardando la mia professoressa di italiano. Aveva la capacità di entrare in rapporto con me e i miei compagni in un modo affascinante. Mi colpiva che, nonostante fosse molto severa, avesse una capacità di introdurre un argomento che rendeva evidente la sua passione per ciò che insegnava. Secondo me il successo dell’apprendimento è legato al coinvolgimento emotivo dell’alunno con ciò che l’insegnante propone, che muove la sua intelligenza alla scoperta di ciò che lo circonda e della bellezza della realtà intera.

Quest’anno tornare a scuola è stata una grande gioia, offuscata però da diverse preoccupazioni rispetto al modo con cui avrei fatto didattica, o sulla rigidità (seppur giusta) dei comportamenti da tenere. Mi sembrava che per dei bambini di seconda elementare fosse una richiesta troppo alta e che questa li limitasse molto persino nella relazione con me e i compagni. Tuttavia, appena varcata la porta della classe, sono stata accolta da occhi sorridenti, da frasi come: ‘Che bello essere tornati a scuola!’, e fin da subito mi ha colpito la loro serietà e il loro impegno nel rispettare le norme per la sicurezza. Si può sperimentare una letizia anche se ci sono 10 regole da osservare? Questa secondo me è la sfida che tutti noi docenti e studenti dobbiamo affrontare quest’anno nella speranza di poter tornare presto a quella quotidianità e vicinanza che tanto desideriamo.”

 

Insegnare, dal latino insignare, “lasciare il segno”: ora più che mai l’etimologia di questa parola appare carica di valore.
Rita Gorgoglione, presso IC “Ermanno Olmi”, plesso Giacomo Leopardi

“Primo giorno di scuola del nuovo anno scolastico in era Covid. L’aula non è come ogni inizio: piena di colori, di cartelloni appesi alle pareti, di giochi e libri riposti negli scaffali che arredano la classe. Troviamo banchi distanti tra di loro, gel igienizzante e altre nuove accortezze da seguire. La campanella si risveglia dal suo lungo riposo, suona e accompagna l’entrata dei bambini.
Finalmente l’aula viene ripopolata dai veri protagonisti della scuola, dalla loro vitalità, da quegli sguardi contenti e attoniti allo stesso tempo, dai quali traspare un sorriso ‘mascherato’, pieno di speranza. È in momenti come questi, negli eventi che stravolgono la regolarità come l’arrivo di questa pandemia, che si fanno riflessioni importanti.

Questo cambiamento storico ha fatto prendere maggior consapevolezza dell’importanza della scuola, del fare scuola, delle competenze didattiche e psicopedagogiche che un insegnante deve possedere. Ha reso evidente la bellezza di questa professione, che si può svolgere solo se si ha una grande passione. Noi docenti abbiamo l’enorme responsabilità di formare le future generazioni, soprattutto alla scuola primaria, dove vengono poste le basi per la crescita cognitiva e socio-affettiva della persona. È di straordinaria importanza il ruolo dell’insegnante nel creare occasioni di apprendimento significative per i suoi studenti, che solo in presenza trovano la giusta collocazione e concretezza. Uno schermo virtuale non potrà mai sostituire il vero contesto scolastico, costituito non solo dalla presenza fisica delle persone, ma anche e soprattutto dalla loro interazione sociale.

Mi piace pensare al processo di insegnamento-apprendimento nella valenza pedagogica della “maieutica socratica”, dove il maestro aiuta a far emergere ciò che già sa il discente, in un’ottica di arricchimento reciproco del sapere.
A scuola non imparano solo i bambini ma anche gli insegnanti, l’apprendimento non ha età! 

Sono molte le speranze per questo nuovo anno scolastico. Sicuramente continuare a venire a scuola è la speranza più sentita. Per noi docenti è bello e di grande soddisfazione vedere dal vivo l’impegno che ciascun bambino mette nelle attività didattiche, la contentezza nell’essere riusciti a capire ciò che stanno svolgendo o meglio ancora comprendere un errore. Questa è la Scuola!