Congo: un’opportunità per i bambini di strada

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Ai bambini di strada di Kinshasa serve solo una spinta: quella che possono dare accoglienza, istruzione e cure mediche, ma anche l’ascolto dei loro sogni e desideri per il futuro.

 

Repubblica Democratica del Congo: un Paese enorme e complesso

Da solo ha un’estensione territoriale pari a mezza Europa e attraversa quasi tutta l’Africa. Ha una storia coloniale e post-coloniale difficile, e da una ventina d’anni sta vivendo una delle più gravi crisi umanitarie a livello mondiale. È infatti segnato da una guerra civile, che ha causato circa 6 milioni di morti. Grandi ricchezze naturali nel sottosuolo come diamanti, oro e coltan attirano gli interessi di milizie e gruppi armati di varia natura, lasciando in povertà gran parte della popolazione.

 

Come restiamo #viciniaibambini?

Nella capitale sosteniamo dal 2010 il centro “Point d’Eau”, che accoglie bambini di strada. “Solo a Kinshasa, che ha un’area metropolitana di oltre 17 milioni di abitanti, i bambini di strada sono decine di migliaia” – ha raccontato durante un incontro online con i nostri donatori Giampaolo Musumeci, giornalista esperto di Africa da anni vicino alla Fondazione. “Orfani o abbandonati, questi bambini diventano facilmente preda delle bande criminali. Uno delinque non perché è cattivo, ma perché vittima di condizioni di povertà ed emarginazione. Il lavoro di Mission Bambini in questo contesto è meritorio, perché non è facile prendere per mano questi bambini, restituire loro un senso e una motivazione, tirarli fuori dalla strada”.   

 

 

Al Centro i bambini trovano uno spazio sicuro dove poter mangiare una volta al giorno, curare l’igiene personale, lavare i propri indumenti, farsi medicare, apprendere a leggere e scrivere, fermarsi a dormire. “Il centro è gestito dall’associazione locale OSEPER e grazie al nostro contributo – racconta Maria Torelli, Program coordinator della Fondazione – copriamo i costi per l’accoglienza di 65 bambini ogni anno. Oltre l’aiuto immediato, l’obiettivo è quello di reinserirli gradualmente nel loro nucleo familiare – se possibile – o nella società, attraverso progetti educativi che puntano alla loro autonomia”.

Mauro Besana, volontario di Mission Bambini che ha potuto visitare il nostro Centro di Kinshasa nel 2018, ci racconta di un bambino che ha conosciuto: “Abigael aveva 9 anni. Nato con una zoppia, a 3 anni è stato abbandonato sui binari del treno dal padre, che addossa a lui la colpa della separazione dalla moglie. Altri bambini di strada l’hanno trovato e portato al Centro. Qui gli educatori sono riusciti a coinvolgerlo, nominandolo responsabile dei conigli. Col tempo ha acquisito fiducia: oggi gioca a pallone e può finalmente fare il bambino”.

 

Anche tu hai l’opportunità di sostenere in modo regolare il Centro “Point d’Eau” e regalare una seconda opportunità ai bambini di strada di Kinshasa.

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Una carovana del sorriso per i bambini della Tanzania

#adozioni a distanza, #bambini, #educazione, #estero, #Tanzania

La nostra seconda missione all’estero ci ha portati in Tanzania, per visitare un nuovo progetto educativo a Mabilioni e per conoscere il partner locale. Ad accompagnare Maria Torelli – nostra program coordinator – anche Beppe Mambretti, Maruscka Nonini e Jeannette Rogalla, nuovi volontari della Fondazione e già volontari de “La Carovana del Sorriso”, a cui abbiamo dato il benvenuto durante l’estate.  

 

Dove ci troviamo? Il contesto e il popolo Masai

Il progetto si svolge a Mabilioni, nel comune di Hedaru: è una circoscrizione mista con una popolazione di oltre 18.000 abitanti, e dista 379 km dalla capitale della Tanzania, Dar Es Salaam. Il villaggio di Mabilioni dista 2 km dalla strada principale ed è al limite di un territorio popolato essenzialmente da Masai; ci troviamo infatti nella regione del Kilimanjaro, in piena steppa masai

Ed è proprio qui, al confine con il Kenya, che vive questo popolo antico che ha portato nella storia contemporanea le tradizioni del proprio passato. La loro lingua è il maa, dalla quale deriva il nome della popolazione. I masai sono tradizionalmente pastori semi-nomadi e il bestiame riveste per loro un’importanza vitale. I villaggi sono composti da rudimentali capanne rotonde costruite in legno e fango; al centro del villaggio è solitamente presente un recinto dove viene rinchiuso il bestiame durante la notte, per evitare gli attacchi dei predatori.

Anche gli abiti, spesso caratterizzati da stoffe di color rosso, sono rimasti immutati nel tempo; inoltre i masai indossano numerosi monili e gioielli, che tanto li rendono riconoscibili, su polsi, caviglie e collo. L’insieme dei colori utilizzati ha un significato ben preciso e aiuta ad identificare lo status sociale di chi li indossa.

 

Tanzania, al via un nuovo progetto

Ed eccoci giunti allo scopo del viaggio: visitare il nuovo progetto educativo a Mabilioni e conoscere il partner locale, i Brothers of Jesus the Good Shepherd. Ad accompagnare Maria Torelli c’erano dall’Italia anche i nostri nuovi volontari e già volontari de “La Carovana del Sorriso”, organizzazione di volontariato di Lecco che, dopo un impegno di 12 anni e la realizzazione di importanti opere per questa comunità, ha deciso di affiliarsi alla nostra Fondazione.

“Dando continuità al loro impegno – ci spiega Maria – la nostra Fondazione sosterrà “La Casa degli Angeli” di Mabilioni, struttura che accoglie attualmente 17 bambini e ragazzi che frequentano le scuole primarie e secondarie statali di questa località. Durante la mia permanenza ho visto con i miei occhi quanto i bambini siano trattati in maniera molto amorevole e attenta. La sveglia è alle 5 e i bambini escono per andare a scuola tra le 6 e le 6.30, a seconda della distanza. Ritornano all’incirca alle 17 e contribuiscono alla pulizia degli spazi e dei loro vestiti, alla cura degli animali, alla gestione del magazzino, nonché alla preparazione dei pasti: a seconda dell’età ciascuno svolge i propri compiti. Alla sera hanno sempre del tempo libero prima e dopo la cena. Il venerdì sera, in particolare, c’è una serata di sviluppo dei talenti, dove ciascun bambino può presentare una propria creazione o raccontare qualcosa: ecco come li si aiuta a sviluppare la fiducia in se stessi!”

Presso il Charity Village, di cui La Casa degli Angeli fa parte, vi sono anche uno spazio per attività ricreative, una chiesa dove i Brothers dicono messa ogni mattina, e un orto con ortaggi – per ridurre i costi degli acquisti esterni e per insegnare ai bambini a coltivare. Nella zona circostante sono stati piantati alberi e posizionati vasi con fiori e piante, per abbellire l’ambiente e creare ombra: ciò ha fatto sì che la zona si sia popolata anche di specie di uccelli variopinti. Esternamente al recinto è stato inoltre attrezzato un campo da calcio, per la gioia di grandi e piccoli.

 

“Cosa vuoi fare da grande?”: l’istruzione per aprire le porte del futuro

La scuola primaria si trova a 10 minuti a piedi dal Charity Village ed è frequentata da 9 bambini, mentre 8 ragazzi frequentano la scuola secondaria a Mabilioni.

Sostenuto dal progetto è anche un ragazzo masai, fortemente raccomandato dal preside della scuola del suo villaggio poiché talentuoso, che sta frequentando il terzo anno di scuola secondaria presso un college privato. A lui si aggiungono un ragazzo che sta per terminare l’Università, e una ragazza che frequenta il primo anno di Scienze della Formazione e che vorrebbe diventare insegnante. Un ragazzo ha invece da poco terminato il primo anno di scuola per elettricisti, mentre un altro inizierà a breve una scuola di arte e musica vicino alla capitale.

 

Alla scuola primaria e secondaria si è affiancata, nel 2019, la scuola dell’infanzia per bambine e bambini Masai dai 4 anni circa provenienti dal villaggio di Gunge, che dista 3 km dal Charity Village. Nelle aree circostanti, infatti, sorgono numerosi villaggi in cui vivono circa 800 bambini, per la maggior parte di etnia masai. Il nostro impegno è dunque quello di garantire l’accesso all’istruzione e il pranzo per tutti i bambini della pre-school, che dura generalmente 2 anni; può eventualmente durare anche di più, qualora i bambini cominciassero a frequentarla prima dei 5 anni, come talvolta accade. Questa è la fase più delicata, perché l’insegnamento dello swahili – la lingua ufficiale della Tanzania – permetterà ai bimbi di integrarsi nelle scuole statali.

La struttura, divisa in 2 classi, accoglie attualmente circa 70 bambini. Qui vengono insegnati swahili (lettura e scrittura), matematica (contare, somme, sottrazioni), nonché le nozioni base dell’inglese, su cui i bimbi vengono valutati a metà e a fine anno. I pasti per i bimbi vengono cucinati a turno dalle mamme e sono composti da porridge, mentre i bambini portano il latte da casa.

Un aspetto molto positivo, e un segnale di interesse verso l’istruzione dei bambini, è che ad aprile 2021 il nostro partner locale, nella figura di Br Valerian McHome, ha effettuato un incontro con 55 Masai, che si sono impegnati a contribuire economicamente per costruire una nuova aula: hanno già raccolto 300.000 TZS (circa 107 €) e metteranno a disposizione 10 acri per la scuola. Nel frattempo, hanno ripulito l’area e stanno iniziando a raccogliere pietre per la costruzione. L’aula sorgerà in una zona con anche spazi in ombra, dove i bambini potranno anche giocare. Nell’aula verranno accolte le due classi, ciascuna con la sua lavagna, mentre l’aula precedente verrà utilizzata per il culto.

“Br Valerian – ci racconta Maria – cena coi bambini 2-3 volte a settimana. Se qualche bambino si comporta male, gli viene chiesto il suo parere per responsabilizzarlo, per poi invitarlo a scusarsi con la persona offesa. I bambini si correggono anche tra di loro: vengono educati a sentire la casa come loro e a orientare i più piccoli. I più grandi contribuiscono inoltre alla gestione della casa. Per quanto riguarda il percorso futuro dei bambini, viene chiesto loro cosa vorrebbero fare da grandi, viene osservato il loro atteggiamento nei confronti degli altri, ad esempio per vedere se potrebbero essere dei bravi infermieri o insegnanti e, seguendo le loro inclinazioni e le loro passioni, vengono guidati nella scelta formativa.”

 

Ecco come continueremo a mantenere vivo il progetto e a prenderci cura dei bambini e dei ragazzi di Mabilioni e Gunge: dando loro nuove opportunità di vita attraverso l’istruzione, insieme.

 

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Le nostre missioni all’estero: un ritorno tanto atteso

#adozioni a distanza, #bambini, #educazione, #estero, #Kenya

Maria Torelli, nostra program coordinator per i progetti di educazione all’estero, è da poco tornata da una missione in Kenya. Si tratta del primo viaggio in epoca di pandemia, con l’obiettivo di monitorare i nostri progetti educativi di Bomet e Nairobi. 

 

Bomet e Nairobi: dove ci troviamo?

Bomet è il capoluogo dell’omonima contea, nell’ovest del Paese; il nostro progetto è situato a Chebole, una località distante qualche chilometro. I bambini che frequentano la scuola provengono da un’area molto vasta: alcuni la raggiungono grazie a uno scuolabus, altri hanno la possibilità di essere accolti direttamente nella struttura (a partire dai 10 anni) o presso la Laura Children’s Home (dai 3 ai 9 anni). 

Nairobi, la capitale del Kenya, continua ad essere una città economicamente molto in crescita. Maria ci racconta che le strade sono piene di cartelloni pubblicitari che invitano ad avviarsi verso un modello di maggior consumo, e i centri commerciali si stanno moltiplicando a vista d’occhio. La condizione dello slum di Donholm non è però ottimale: non è stata ancora portata l’acqua, e le famiglie continuano ad avere scarse risorse sia per contribuire ai costi della scuola che per mangiare. Le case costruite in lamiera e cartoni sono ancora affiancate alla discarica e alle fognature all’aperto, e la commistione tra persone e animali rende l’ambiente ancor più malsano. 

 

A Bomet, tutti a scuola!

Attraverso il racconto di Maria, andiamo a visitare il nostro progetto di Bomet. La prima struttura che incontriamo è la Laura Children’s Home, dormitorio maschile e femminile presso la casa della famiglia Bet – fondatrice dell’organizzazione nostra partner locale – che accoglie attualmente 12 bambini dai 3 ai 9 anni.

 

 

Ci spostiamo poi alla Mosop School, scuola dell’infanzia e primaria, con dormitori maschili e femminili, che accoglie 368 bambini. Mosop era il padre di Mr Bet, e il significato del nome è ‘un posto dove si può stoccare molto cibo’, e quindi, per estensione, un luogo di abbondanza.

La struttura della scuola è in muratura, ma con tetto in lamiera: “quando piove forte – ci spiega Maria – con le mascherine e il rumore della pioggia è molto difficile capirsi, anche a un metro di distanza”. 

 

 

La Mosop School, avviata da Mr. Bet, non offre solo educazione e cibo ai bambini che la frequentano, ma fornisce loro un modello di famiglia e di educazione che va ben al di là delle conoscenze scolastiche. Lo scopo del progetto è assistere e accogliere i bambini orfani, abbandonati o vulnerabili della zona, e offrire loro l’istruzione che meritano.

Dalla nostra visita alla scuola abbiamo appreso come alcuni ex studenti abbiano conseguito ottimi risultati lavorativi: c’è Petty, che è diventata una dottoressa negli Stati Uniti; Jeremiah, un ragazzo albino masai divenuto direttore di un centro medico; Ronnie, che dopo aver lavorato come addetto alla produzione di latte per procurarsi fondi per curare la madre sieropositiva, è oggi un infermiere.

Alcuni ex studenti hanno creato un’associazione, la Laura Children’s Home Alumni, e si trovano tutti gli anni, a maggio, per incoraggiare gli alunni attuali e svolgere attività di volontariato: quest’anno, causa pandemia, vi è stata solo una cerimonia veloce. Con il passare del tempo, come ci racconta Maria, tutti loro potrebbero diventare risorse preziose per la scuola e la comunità: ad esempio come supporto di un insegnante nella realizzazione di attività pomeridiane, per passare del tempo con i bambini, incontrarli durante i giorni di visita o fare piccoli lavoretti. Questo, anche col passare degli anni, li farebbe sentire ancora parte della famiglia della Mosop. 

 

Allontanandoci da Bomet, visitiamo infine la scuola di Kuresoi: ci vogliono circa quattro ore di auto per raggiungerla, e la strada è in pessime condizioni. È una scuola dell’infanzia e primaria che accoglie oggi 173 bambini, di cui alcuni orfani; la struttura, come la maggior parte delle case della zona, è in legno e con il tetto di lamiera, segnale del contesto difficile in cui vivono i bambini.

 

 

 

A Nairobi, istruzione per i bambini degli slum

Proseguiamo con l’ultima tappa del nostro viaggio, recandoci al Centro Mother of Mercy nelle due strutture che sosteniamo: la scuola dell’infanzia e primaria di Kariobangi, che accoglie attualmente 190 studenti, e la scuola dell’infanzia e primaria di Donholm, con 161 studenti. 

Il Centro ha l’obiettivo principale di garantire ai bambini delle baraccopoli e dei quartieri poveri un’istruzione di qualità, poiché l’istruzione per loro è l’unico spiraglio verso il futuro. A scuola gli studenti ricevono anche un pasto, il materiale didattico, il vestiario e l’assistenza sanitaria. 

 

 

La scuola è sempre di più un punto di riferimento per i bambini, e un terreno di scambio e socializzazione tra grandi e piccoli. “Un giorno – ci racconta Maria – nello spiegare il funzionamento di alcuni giochi recuperati nel magazzino della nostra Fondazione, mi sono ritrovata a fare insieme ai bimbi un puzzle da 500 pezzi. È stato interessante vedere quanto si sono appassionati non solo i bambini, ma anche le direttrici e alcuni insegnanti, che hanno pensato di poter utilizzare il puzzle come strumento di team building all’interno delle classi.”

 

È stata questa una missione tanto attesa dopo quasi due anni di pandemia; uno sguardo dal campo non solo con lo scopo di visitare e monitorare un nostro progetto, ma anche per toccare con mano la quotidianità vissuta dai bambini e dai ragazzi che risiedono in un Paese così lontano, ma che grazie a questo racconto possiamo sentire un po’ più vicino.