Category: Salute
Bisa, operata in Uganda grazie al sostegno dei nostri donatori
A inizio 2021 il Dr. Muhoozi, cardiochirurgo presso il Mulago Hospital di Kampala in Uganda, ci ha raccontato di non avere gli strumenti e il materiale necessari per realizzare gli interventi chirurgici a favore dei bambini malati di cuore. Abbiamo rivolto questo appello ai nostri donatori e, come spesso accade, in tanti hanno risposto con grande generosità!
In Uganda c’è un cuore che è tornato a battere forte
Bisa, due anni e mezzo, è figlia di un papà contadino e di una mamma casalinga, e vive nel Distretto di Katakwi, nell’Est dell’Uganda, che dista più di 350km da Kampala. La bambina è nata con un difetto del setto interventricolare, cardiopatia che le procurava un rallentamento della crescita e difficoltà respiratorie. I genitori, proprio osservando il respiro affannoso della piccola e il fatto che fosse meno sviluppata dei suoi coetanei, avevano capito che qualcosa non andava e – grazie a questa attenzione – hanno richiesto dei controlli che hanno evidenziato la malformazione.
La situazione economica della famiglia però non permetteva di garantire alla piccola la visita cardiologica e l’intervento, necessari per salvarle la vita. Grazie all’aiuto della nostra Fondazione Bisa ha potuto effettuare un’ecocardiografia presso l’Uganda Heart Institute, è stata inserita nella lista operatoria e, nel giro di poche settimane, è stata operata dal Dr. Muhoozi. L’intervento è andato a buon fine ed è stato risolutivo; Bisa, dopo un periodo di osservazione, è stata dimessa e i medici hanno comunicato che la bimba non necessiterà di ulteriori operazioni. La sua vita potrà proseguire tranquilla e la sua crescita potrà essere monitorata con semplici visite periodiche.
È attraverso i fondi raccolti che siamo riusciti ad acquistare materiale utile per gli interventi per salvare bambini come Bisa: cerotti per tessuto cardiaco, tubi utilizzati su vasi sanguigni danneggiati o malati, cannule aortiche pediatriche e cannule di cardioplegia per la circolazione extracorporea, cateteri e tubi tracheali.
La storia di Bisa è una delle tante storie che stiamo scrivendo in Uganda, per salvare i bambini cardiopatici; puoi scegliere di scriverle anche tu, insieme a noi.
San Valentino: una questione di cuore
Il 14 febbraio è il giorno di San Valentino, la festa dell’Amore, ma per noi oggi è una questione di cuore anche perché è la Giornata Internazionale delle Cardiopatie Congenite.
A questo proposito abbiamo intervistato il Dr. Stefano Marianeschi, Scientific Advisor del nostro progetto Cuore di Bimbi e Responsabile della Cardiochirurgia Pediatrica dell’Ospedale Niguarda di Milano.
Il Dr. Marianeschi è il cardiochirurgo che opererà Daors, il bambino albanese arrivato a Milano poco fa per poter ricevere le cure che il suo piccolo cuore richiede.
Ve lo avevamo presentato qui.
- Si sta preparando ad operare Daors, che già aveva visitato un paio di anni fa in Albania. Con quale frequenza viaggia per visitare e/o operare bambini affetti da patologie cardiache?
Purtroppo a causa della pandemia non quanto vorrei, prima dell’emergenza da Covid19 andavo in missione in Albania un paio di volte all’anno, inoltre quando possibile visitavo altre missioni in Africa e in Asia, arrivando a un massimo di quattro viaggi all’anno.
- Cosa può dirci della patologia di Daors, diagnosticato quando non aveva neanche due anni. È frequente lo screening in così tenera età? Cosa ha reso necessaria la sua diagnosi?
Daors è affetto da una patologia congenita, il che significa che dalla nascita il suo cuore presenta una piccola malformazione. Circa 8 bimbi ogni 1000 nascono con questo tipo di problematica, inoltre, alcune patologie sono più complicate da diagnosticare e ciò che accade in Paesi come l’Albania, l’Uganda, la Zambia, o il Myanmar (tutti paesi in cui Mission Bambini opera) è che i medici in loco sono solo in grado di denotare una problematica nei bambini, ma sono necessari medici specializzati che si rechino come volontari per poter definire l’iter terapeutico.
- Come inizia, dunque, la diagnosi di bambini come Daors? Quali le prospettive per questi Paesi?
La formazione dei medici locali non è specializzata come la nostra e alcune cardiopatie sono sconosciute, grazie a programmi come Cuore di Bimbi però le cose stanno cambiando. All’ospedale di Tirana c’è un centro di cardiochirurgia per adulti e bambini. Rispetto a 10 anni fa sono stati fatti grandi passi avanti. Ciò a cui si sta mirando è rendere indipendenti i medici locali, così che l’intervento di professionisti come me sia solo sporadico e di supporto.
Al momento il Dr. Marianeschi sta formando una studentessa, specializzanda dell’Albania. La giovane dottoressa, grazie ad una borsa di studio sovvenzionata dalla Fondazione, resterà all’Ospedale Niguarda per un anno, al fine di conseguire il master in cardiochirurgia con la scuola internazionale e possa così diagnosticare bimbi come Daors e operare in Albania.
- Approfondiamo la questione del cuore di Daors, in cosa consiste la sua patologia?
Il piccolo ha un difetto interatriale, ossia un “buco” tra i due atri del cuore, può essere una patologia ben sopportata in età infantile ma porta ad un affaticamento del cuore precoce e un’aspettativa di vita ridotta rispetto a bambini sani. Inoltre, Daors soffre anche di insufficienza di una valvola del cuore.
- Cosa ne pensa del certificato di Non Curabilità emesso dall’Albania? Ci potrebbe spiegare meglio in cosa consiste?
Il certificato di Non Curabilità implica che Daors non può essere operato in Albania, sebbene a Tirana ci sia un buon centro cardiochirurgico. Evidentemente il difetto interatriale, sommato all’insufficienza della valvola, lo rendono inoperabile.
Tuttavia l’ideale sarebbe ridurre sempre di più l’emissione di questi certificati, perché significa che bimbi come Daors possono essere curati nel proprio paese d’origine e non sono costretti a dipendere da progetti come Cuore di Bimbi.
- Parlando proprio del programma Cuore di Bimbi, lei collabora da oltre 10 anni con Mission Bambini nell’ambito di questo progetto, guardando al percorso fatto cosa ci può raccontare?
Da quando ne faccio parte il progetto è stato solo un crescendo, anche con la pandemia si è sempre rimasti in contatto, ricevendo aggiornamenti sulla situazione nei vari paesi e dando supporto a distanza come possibile.
Dopo aver visitato la maggior parte dei Paesi inclusi nel progetto, posso dire che ogni Paese ha le sue caratteristiche, il suo modo di fare le missioni, e io mi sono trovato bene in tutti. Lavorativamente e umanamente.
- Le emozioni penso siano una parte integrante del suo lavoro, cosa prova quando entra in contatto con i bambini di “Cuore di Bimbi”? Ci potrebbe raccontare il punto di vista della persona che materialmente salva la vita a dei bambini così piccoli?
Ci sono due aspetti da considerare: quello tecnico, per cui è bene restare un po’ freddi durante gli interventi, altrimenti non è possibile operare nella maniera migliore. Poi c’è una componente emotiva di grande gioia e soddisfazione, ma anche di sofferenza quando le cose non vanno bene. Questo è un lavoro che crea emozioni molto forti, perché i bambini curati durante le missioni vengono incontrati e visitati una prima volta e poi subito operati. Dunque quando si incontrano è già evidente la perdita di peso o gli altri sintomi di scarsa ossigenazione: fa tanta emozione perché si percepisce appieno l’urgenza. Poi, dopo gli interventi sono gli occhi dei bambini a parlare: capisci che stanno meglio e hanno finalmente davanti tutta una vita. Vedi anche la riconoscenza dei genitori che osservano il bimbo rinascere.
- Quando tornerà in missione? Sa già la destinazione?
A maggio, se la situazione rimane stabile, tornerò in Uganda.
- Vuole aggiungere qualcosa?
A dispetto della fatica fisica, le missioni ricaricano le batterie.
Davvero San Valentino è una questione di cuore e puoi far battere anche tu il cuoricino di tanti bimbi, oggi.
Nuovi battiti per il cuore di Daors: l’incontro con la nostra volontaria
Daors Copani è un bambino di 4 anni solare, allegro e pieno di energie! Il cuore lui lo ha stampato in faccia, insieme a un sorriso che abbaglia, ma che potrebbe spegnersi, se non riceverà l’operazione salva vita di cardiochirurgia che gli donerà tanti nuovi e forti battiti.
La storia di Daors
Daors vive con la sua famiglia a Durazzo, Albania, ha due fratelli e la gioia di vivere che solo un bambino forte come lui può avere.
Già dai primi mesi di vita, infatti, si deve sottoporre ai primi accertamenti diagnostici. E nel 2019 arriva la diagnosi di una patologia cardiaca interatriale, grazie alla visita del Dr. Marianeschi, in missione con il nostro progetto Cuore di Bimbi, presso l’Ambulatorio di Cardiopediatria “Madonnina del Grappa”, a Scutari.
L’indicazione terapeutica prevedeva un intervento di chirurgia correttiva dopo due anni, ma con lo scoppio della pandemia tutto si fa un po’ più complicato, anche se Daors e sua mamma Besiona non si scoraggiano.
Non si scoraggiano nemmeno quando, a novembre 2021, ricevono dall’Albania il certificato di Non Curabilità: loro sanno che con la nostra Fondazione possono ricevere il supporto di cui hanno bisogno.
Domenica 6 febbraio 2022 inizia finalmente il viaggio di Daors per poter avere un cuoricino forte. Con l’appoggio del Pio Istituto di Maternità ONLUS – che fornisce l’alloggio in Italia – e del Fondo Sanitario Regionale “Interventi sanitari umanitari a favore di cittadini extracomunitari” di Regione Lombardia, il bimbo e la sua mamma sono accolti da Mission Bambini a Milano, per ricevere le cure di cui il cuore di Daors ha urgenza.
L’incontro con la nostra volontaria Antonella
Antonella, veterana del progetto Cuore di Bimbi, con il quale già nel 2019 era stata in missione in Zambia, aspetta all’aeroporto insieme a Benedetta, nostra project manager, Daors e sua mamma.
“Besiona è giovane, colta e decisa. Ha paura di volare, ma nulla potrebbe fermarla dal dare al cuore di suo figlio nuovi battiti e la sicurezza nel futuro.”
Queste le prime parole che la nostra volontaria usa per descrivere Besiona, con cui si instaura fin da subito una grande empatia e fiducia.
Il momento è delicato, l’ansia è tanta ma la cura e la delicatezza di Antonella altrettanto.
Nei primi dieci giorni dopo l’arrivo in Italia, Daors e la sua mamma dovranno restare in isolamento. Per questo motivo è Antonella a portare la spesa con i generi di prima necessità nell’appartamento in cui Besiona e il nostro piccolo combattente alloggiano: non devono rischiare e i volontari della Fondazione sono lì per aiutarli.
“Con la mamma di Daors, pur non essendoci problemi di lingua perché parla italiano, abbiamo anche condiviso il silenzio.” – ci racconta Antonella – “Io sono una persona che parlerebbe con i muri, ma ho dovuto frenarmi, Besiona è troppo tesa ed esserci per le persone è anche questo: rispettare i loro limiti“.
L’aiuto che non ingombra
Mentre Antonella racconta, un ricordo le attraversa lo sguardo. Pensa al suo primo contatto con i bimbi cardiopatici e le loro mamme, in Zambia, e alle motivazioni che l’hanno portata ad avvicinarsi a Mission Bambini e al lavoro da volontaria.
Qualche anno fa, suo marito ha dovuto trascorrere un lungo periodo in ospedale e Antonella aveva trovato in un gruppo di volontari il supporto necessario. Quella è stata la scintilla che le ha fatto decidere di aiutare chi avesse bisogno.
Così, dopo aver adottato una bimba a distanza, ha deciso di partire con una missione per recarsi dove l’aiuto è più prezioso.
Il contesto con cui è entrata in contatto in Zambia è diverso da quello ritrovato con Besiona e Daors, ma questi due mondi sono legati da una stessa matrice: il valore dell’incontro, la consapevolezza di poter creare un legame, aiutare o alleviare le ansie di qualcun altro.
“Far sapere che l’aiuto c’è ma non è ingombrante, corre sullo sfondo per palesarsi quando è necessario” – queste le parole con cui ci lascia Antonella.
Così i nostri cuori battono all’unisono con quelli dei bambini nati nei Paesi più poveri del mondo, curati grazie alle scelte solidali delle persone che, insieme a noi, donano un futuro a chi rischia di non poterlo avere.
Segui il percorso di Daors sui nostri social, oppure…
La Giornata Mondiale dell’Infermiere: il racconto di chi resta sempre umano, sempre dedito alla vita
Il 12 maggio è la Giornata Mondiale dell’Infermiere e mai come quest’anno sentiamo il bisogno di celebrarla, insieme ai volontari del nostro programma Cuore di Bimbi: per ringraziare chi continua ad aiutarci a superare la difficile sfida contro il Covid-19, ma anche per raccontare, attraverso le parole di chi l’ha vissuta in prima linea, un’esperienza che ci ha profondamente cambiato.
Facciamo tesoro di questa esperienza, altrimenti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. Alessandro Crespi, infermiere volontario Cuore di Bimbi dal 2015
“Dire che cosa abbia significato vivere l’emergenza Covid-19 dal nostro punto di vista è un po’ difficile. L’impatto è stato fortissimo, inaspettato, devastante.
Gli echi (inascoltati), che giungevano da Oriente, ci hanno mostrato vulnerabili e impreparati. Però, non senza una bella dose di disorganizzazione, abbiamo tutti accettato la sfida e cominciato a fare la nostra parte, ognuno al meglio delle proprie capacità.
La pandemia ha agito un po’ da “livella”, come avrebbe saggiamente detto Totò: ha ridimensionato le priorità, mostrato la pochezza di ciò che fino ad allora avevamo percepito tutti come necessità. Ahimè, ha anche distolto l’attenzione dai problemi veri, rendendoli minimi, trascurabili: tutto il nostro lavoro, fatto fino a quel punto, è improvvisamente diventato procrastinabile. Vallo però a raccontare ai genitori dei bimbi con patologie congenite.
Noi nel frattempo ci siamo organizzati e barricati nei nostri fortini, i più fortunati nei castelli, con tanto di mura, torrioni e ponti levatoi; vestiti di armature e armati fino ai denti, abbiamo iniziato a combattere, a tentare di salvare tutti i feriti.
Non è stato facile.
Non lo è stato mai, anche prima.
Ma questa volta di più.
Lentamente il Covid-19 pare aver mollato la presa.
Tregua? Quanto durerà?
Noi usciamo lentamente dai nostri posti di combattimento certamente cambiati, consapevoli di saper fare squadra quando serve, percepiti un po’ meglio da chi ci ha visto lottare in prima linea, più forti di prima.
Spero solo che l’esperienza, paradossalmente meravigliosa, di vivere insieme tra le mura di un ospedale, di una rianimazione, ma anche di una casa, non vada gettata. Facciamone tutti tesoro, altrimenti, citando Blade Runner, Tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia.”
L’infermiere è là in trincea, in prima linea. Cinico quando serve, umano sempre, con forza-coraggio-amore. Maurizio Biella, infermiere volontario Cuore di Bimbi dal 2017
“Ognuno di noi esprime riflessioni in generale o dedicate alla propria realtà. Io non ne sono esente ed è giusto così.
Quotidianamente nelle nostre mani vengono messe delle vite. La responsabilità è grande, ma ciò non ci spaventa, anzi: le nostre mani aiutano il risveglio, il ritorno alla vita. Perciò voglio partire a ritroso, come si fa con la storia, che è poi lo spirito del nostro lavoro di ogni giorno.
Da anni mi occupo dei bambini cardiopatici. Quando ti lasci plasmare dalla fiamma della passione e della solidarietà, il tuo cuore abita nel mondo. E così, quando sei in terra straniera, ti accorgi di non essere uno straniero.
Il ritorno al sorriso di questi bambini, che è poi il sorriso che contraddistingue i bambini di ogni nazione, è il regalo più grande che possiamo ricevere. Chiara ci appare la loro storia meravigliosa, nella quale risiede la speranza di un nuovo futuro. Ed è una grande gioia vederli sorridere, correre e crescere. Siamo strumenti e testimoni del valore della vita.
È in questo scenario che si colloca il mio essere infermiere.
Un ruolo importante lo svolgono, con immensa dignità, le mamme dei bambini cardiopatici: sono loro che determinano lo scandire del nostro impegno attraverso l’espressione della speranza, della fiducia e della gratitudine, di cui abbiamo bisogno per continuare. Ci affidano la vita dei loro bambini: di fronte a questo immenso Amore il nostro cuore batte forte, nella consapevolezza che la vita è un valore incalcolabile.
Si tratta di bambini che, dopo aver perso tante battaglie, hanno vinto la loro guerra. Il riscatto è grande: riprendersi la vita.
Sì, perché noi ci tuffiamo nei loro cuori.
Ecco chi è l’infermiere: una persona che ha passione, coraggio, che si impegna, fa sacrifici, sostenuto nella propria professione da attitudini personali.
Infine, quando i tempi saranno finiti, l’uomo avrà scritto la sua storia anche nei cuori rattoppati di tanti bambini inviati dal cielo, testimoni nella quotidianità.
Poi arriva lui: il Covid-19.
Un mondo piegato sulle ginocchia. È forte, è agguerrito.
Confusione, teorie e riflessioni più o meno strampalate.
È il momento di rimboccarsi le maniche: il personale sanitario scende in campo, con o senza dispositivi di sicurezza individuali. Morti: tanti, troppi.
L’infermiere è là, in trincea, in prima linea. Cinico quando serve, umano sempre.
La sua divisa puzza. No, non puzza affatto. La scia che lascia parla di fedeltà alla professione; di dedizione alla vita, che protegge fino allo stremo; di capacità di accompagnare alla morte la persona che sta curando.
Ancora poi, in un angolino angusto, si rannicchia in solitudine, per poter lasciare… e preziose lacrime solcano il suo viso.
E ancora, con forza coraggio amore, riappare sulla scena per nuove primavere.”
Non scorderò mai i forti legami con i nostri pazienti: eravamo diventati in un certo senso il loro punto di riferimento, la loro famiglia. Ecaterina Baciu, infermiera volontaria Cuore di Bimbi dal 2016
“Da questa esperienza mi porterò per sempre dei momenti che non avrei mai voluto vivere, malgrado fossi consapevole dei rischi del nostro mestiere.
Non scorderò mai: gli sguardi impauriti dei pazienti, vedendoci comparire ricoperti con tutti i dispositivi; i nostri occhi pieni di lacrime, quando li vedevamo; i sorrisi durante le videochiamate con i loro cari; la ricerca della loro mano verso una carezza o il semplice contatto o il saluto, con la promessa di rivederci il giorno dopo. E purtroppo non scorderò mai quando, nonostante tutto il nostro impegno, non riuscivano a superare i momenti difficili.
Essendosi venuti a creare dei forti legami con i pazienti, eravamo diventati in un certo senso il loro punto di riferimento, la loro famiglia.
Le esperienze vissute durante le missioni organizzate dalla vostra Fondazione mi sembrano adesso dei ricordi molto lontani.
Confido nella ricerca per poter trovare la giusta cura contro questo mostro e per poter ritornare dai piccoli pazienti cardiopatici, che hanno tanto bisogno del nostro aiuto per poter guarire.”
Donazione in memoria: la storia di Ettore
Perdere un figlio appena nato a causa di una grave malattia e decidere di fare una donazione in sua memoria, per salvare altri bambini affetti dallo stesso male. È accaduto a Davide e Anna, due persone speciali che hanno incrociato la nostra strada e che desideriamo ringraziare anche qui sul nostro Blog, in occasione del 13 settembre Giornata Internazionale del Lascito Solidale. La loro storia ci aiuta a capire che con una donazione in memoria – come accade anche per i lasciti – la fine di qualcosa diventa l’inizio di qualcos’altro, quando accanto alla sofferenza e al dolore fiorisce, in maniera sorprendente e apparentemente inspiegabile, un sentimento vitale e prezioso: la gratitudine.
Il cuore di Ettore non ce la fa
Siamo in Italia, nel febbraio 2017. Ettore nasce affetto da una cardiopatia. Il suo caso è molto grave e l’unica possibilità è quella di operare al cuore il bambino. Ettore viene ricoverato a Milano, in uno dei migliori reparti di cardiochirurgia pediatrica del nostro Paese. I medici tentano disperatamente di salvarlo, ma purtroppo nonostante la tempestività dell’intervento non c’è nulla da fare.
La lettera del padre
I genitori di Ettore – come tutti i genitori che perdono prematuramente un figlio – vivono una sofferenza immensa, che crediamo non sia neanche immaginabile. Ma accanto al dolore, nel loro cuore trova spazio un altro sentimento. “Non sono capace di trovare parole adeguate per l’immensa gratitudine che io e Anna proviamo nei vostri confronti”: con queste parole Davide, il papà di Ettore, si rivolge con una toccante lettera ai medici che hanno tentato di salvare il figlio.
La scelta di una donazione in memoria
La lettera del papà di Ettore continua così: “Molte persone ci si stanno stringendo attorno chiedendo cosa possano fare per noi. Non essendoci nulla di ragionevole che possiamo chiedere per noi, stiamo indirizzando tutti a fare una donazione a Mission Bambini, a cui aggiungeremo presto anche la nostra. È il modo più pratico che abbiamo trovato per far percepire la nostra gratitudine, la stima e la sconfinata ammirazione che abbiamo per l’impegno di voi medici. Vi prego di voler estendere i nostri ringraziamenti a tutto lo staff dell’ospedale, che ci ha fatti sentire accuditi in ogni momento, per quanto difficile fosse”.
Un fiume di solidarietà
Nei giorni successivi alla scomparsa, arrivano in Fondazione più di 60 donazioni in memoria di Ettore. I parenti, gli amici, i colleghi hanno accolto l’appello di Davide e Anna: sanno che quelle donazioni, destinate al progetto “Cuore di bimbi”, daranno una speranza di vita a tanti bambini che nascono con una grave cardiopatia in un Paese povero.
La missione in Romania
Grazie al nostro progetto “Cuore di bimbi” infatti, l’impegno dei medici – quell’impegno che pur nella profonda sofferenza che vivevano ha tanto colpito i genitori di Ettore – supera i confini nazionali e arriva là dove i bambini che nascono con una malattia al cuore non possono essere operati per mancanza di specialisti o di strutture ospedaliere adeguate. E assume una connotazione ulteriore che rende questi “eroi in camice bianco” se possibile ancora più degni di stima e ammirazione: i medici che partecipano alle missioni umanitarie organizzate dalla Fondazione sono tutti volontari. La prima missione partita dopo la donazione in memoria di Ettore è quella svoltasi dall’1 al 5 aprile in Romania, durante la quale vengono operati e salvati 4 bambini cardiopatici arrivati dall’Albania.
Lasciti: una tendenza in crescita
Crediamo che quello di Davide e Anna sia un gesto eccezionale, perché nella sofferenza hanno trovato la forza, la lucidità di guardare oltre. E con grande generosità hanno scelto di dare un contributo perché altri bambini, nati malati come il loro piccolo Ettore, anziché perdere la vita la ritrovassero. Oltre alle donazioni in memoria, sempre più diffusi in Italia sono anche i lasciti, con cui facendo testamento si decide di destinare parte dei propri averi ad un ente benefico. Una tendenza che crescerà ancora in futuro, come ad esempio rivela una recente indagine condotta dall’Osservatorio della Fondazione Cariplo.
Per maggiori informazioni sui lasciti:
Consulta la pagina dedicata o contatta direttamente Maria Elena Di Fazio, Referente Lasciti Solidali Mission Bambini: mariaelena.difazio@missionbambini.org
La “molla” della gratitudine
La “molla” che ha fatto scattare la donazione in memoria di Ettore da parte dei genitori è stata la gratitudine verso i medici, che hanno fatto di tutto per salvare il figlio pur senza riuscirci. La stessa “molla” crediamo sia quella che fa decidere ad una persona che ha avuto una vita felice, piena, ricca di amore di fare un lascito testamentario. Gratitudine verso la vita, che sta volgendo al termine ma a cui in qualche modo chi fa un lascito vuole dare un seguito: generando altra gratitudine nelle persone che hanno più bisogno, aiutandole.
Ti è mai capitato di provare una forte gratitudine verso qualcuno o per qualcosa? Questa gratitudine cosa ti ha portato a fare? Raccontacelo nei commenti!