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San Valentino: una questione di cuore
Il 14 febbraio è il giorno di San Valentino, la festa dell’Amore, ma per noi oggi è una questione di cuore anche perché è la Giornata Internazionale delle Cardiopatie Congenite.
A questo proposito abbiamo intervistato il Dr. Stefano Marianeschi, Scientific Advisor del nostro progetto Cuore di Bimbi e Responsabile della Cardiochirurgia Pediatrica dell’Ospedale Niguarda di Milano.
Il Dr. Marianeschi è il cardiochirurgo che opererà Daors, il bambino albanese arrivato a Milano poco fa per poter ricevere le cure che il suo piccolo cuore richiede.
Ve lo avevamo presentato qui.
- Si sta preparando ad operare Daors, che già aveva visitato un paio di anni fa in Albania. Con quale frequenza viaggia per visitare e/o operare bambini affetti da patologie cardiache?
Purtroppo a causa della pandemia non quanto vorrei, prima dell’emergenza da Covid19 andavo in missione in Albania un paio di volte all’anno, inoltre quando possibile visitavo altre missioni in Africa e in Asia, arrivando a un massimo di quattro viaggi all’anno.
- Cosa può dirci della patologia di Daors, diagnosticato quando non aveva neanche due anni. È frequente lo screening in così tenera età? Cosa ha reso necessaria la sua diagnosi?
Daors è affetto da una patologia congenita, il che significa che dalla nascita il suo cuore presenta una piccola malformazione. Circa 8 bimbi ogni 1000 nascono con questo tipo di problematica, inoltre, alcune patologie sono più complicate da diagnosticare e ciò che accade in Paesi come l’Albania, l’Uganda, la Zambia, o il Myanmar (tutti paesi in cui Mission Bambini opera) è che i medici in loco sono solo in grado di denotare una problematica nei bambini, ma sono necessari medici specializzati che si rechino come volontari per poter definire l’iter terapeutico.
- Come inizia, dunque, la diagnosi di bambini come Daors? Quali le prospettive per questi Paesi?
La formazione dei medici locali non è specializzata come la nostra e alcune cardiopatie sono sconosciute, grazie a programmi come Cuore di Bimbi però le cose stanno cambiando. All’ospedale di Tirana c’è un centro di cardiochirurgia per adulti e bambini. Rispetto a 10 anni fa sono stati fatti grandi passi avanti. Ciò a cui si sta mirando è rendere indipendenti i medici locali, così che l’intervento di professionisti come me sia solo sporadico e di supporto.
Al momento il Dr. Marianeschi sta formando una studentessa, specializzanda dell’Albania. La giovane dottoressa, grazie ad una borsa di studio sovvenzionata dalla Fondazione, resterà all’Ospedale Niguarda per un anno, al fine di conseguire il master in cardiochirurgia con la scuola internazionale e possa così diagnosticare bimbi come Daors e operare in Albania.
- Approfondiamo la questione del cuore di Daors, in cosa consiste la sua patologia?
Il piccolo ha un difetto interatriale, ossia un “buco” tra i due atri del cuore, può essere una patologia ben sopportata in età infantile ma porta ad un affaticamento del cuore precoce e un’aspettativa di vita ridotta rispetto a bambini sani. Inoltre, Daors soffre anche di insufficienza di una valvola del cuore.
- Cosa ne pensa del certificato di Non Curabilità emesso dall’Albania? Ci potrebbe spiegare meglio in cosa consiste?
Il certificato di Non Curabilità implica che Daors non può essere operato in Albania, sebbene a Tirana ci sia un buon centro cardiochirurgico. Evidentemente il difetto interatriale, sommato all’insufficienza della valvola, lo rendono inoperabile.
Tuttavia l’ideale sarebbe ridurre sempre di più l’emissione di questi certificati, perché significa che bimbi come Daors possono essere curati nel proprio paese d’origine e non sono costretti a dipendere da progetti come Cuore di Bimbi.
- Parlando proprio del programma Cuore di Bimbi, lei collabora da oltre 10 anni con Mission Bambini nell’ambito di questo progetto, guardando al percorso fatto cosa ci può raccontare?
Da quando ne faccio parte il progetto è stato solo un crescendo, anche con la pandemia si è sempre rimasti in contatto, ricevendo aggiornamenti sulla situazione nei vari paesi e dando supporto a distanza come possibile.
Dopo aver visitato la maggior parte dei Paesi inclusi nel progetto, posso dire che ogni Paese ha le sue caratteristiche, il suo modo di fare le missioni, e io mi sono trovato bene in tutti. Lavorativamente e umanamente.
- Le emozioni penso siano una parte integrante del suo lavoro, cosa prova quando entra in contatto con i bambini di “Cuore di Bimbi”? Ci potrebbe raccontare il punto di vista della persona che materialmente salva la vita a dei bambini così piccoli?
Ci sono due aspetti da considerare: quello tecnico, per cui è bene restare un po’ freddi durante gli interventi, altrimenti non è possibile operare nella maniera migliore. Poi c’è una componente emotiva di grande gioia e soddisfazione, ma anche di sofferenza quando le cose non vanno bene. Questo è un lavoro che crea emozioni molto forti, perché i bambini curati durante le missioni vengono incontrati e visitati una prima volta e poi subito operati. Dunque quando si incontrano è già evidente la perdita di peso o gli altri sintomi di scarsa ossigenazione: fa tanta emozione perché si percepisce appieno l’urgenza. Poi, dopo gli interventi sono gli occhi dei bambini a parlare: capisci che stanno meglio e hanno finalmente davanti tutta una vita. Vedi anche la riconoscenza dei genitori che osservano il bimbo rinascere.
- Quando tornerà in missione? Sa già la destinazione?
A maggio, se la situazione rimane stabile, tornerò in Uganda.
- Vuole aggiungere qualcosa?
A dispetto della fatica fisica, le missioni ricaricano le batterie.
Davvero San Valentino è una questione di cuore e puoi far battere anche tu il cuoricino di tanti bimbi, oggi.
Nuovi battiti per il cuore di Daors: l’incontro con la nostra volontaria
Daors Copani è un bambino di 4 anni solare, allegro e pieno di energie! Il cuore lui lo ha stampato in faccia, insieme a un sorriso che abbaglia, ma che potrebbe spegnersi, se non riceverà l’operazione salva vita di cardiochirurgia che gli donerà tanti nuovi e forti battiti.
La storia di Daors
Daors vive con la sua famiglia a Durazzo, Albania, ha due fratelli e la gioia di vivere che solo un bambino forte come lui può avere.
Già dai primi mesi di vita, infatti, si deve sottoporre ai primi accertamenti diagnostici. E nel 2019 arriva la diagnosi di una patologia cardiaca interatriale, grazie alla visita del Dr. Marianeschi, in missione con il nostro progetto Cuore di Bimbi, presso l’Ambulatorio di Cardiopediatria “Madonnina del Grappa”, a Scutari.
L’indicazione terapeutica prevedeva un intervento di chirurgia correttiva dopo due anni, ma con lo scoppio della pandemia tutto si fa un po’ più complicato, anche se Daors e sua mamma Besiona non si scoraggiano.
Non si scoraggiano nemmeno quando, a novembre 2021, ricevono dall’Albania il certificato di Non Curabilità: loro sanno che con la nostra Fondazione possono ricevere il supporto di cui hanno bisogno.
Domenica 6 febbraio 2022 inizia finalmente il viaggio di Daors per poter avere un cuoricino forte. Con l’appoggio del Pio Istituto di Maternità ONLUS – che fornisce l’alloggio in Italia – e del Fondo Sanitario Regionale “Interventi sanitari umanitari a favore di cittadini extracomunitari” di Regione Lombardia, il bimbo e la sua mamma sono accolti da Mission Bambini a Milano, per ricevere le cure di cui il cuore di Daors ha urgenza.
L’incontro con la nostra volontaria Antonella
Antonella, veterana del progetto Cuore di Bimbi, con il quale già nel 2019 era stata in missione in Zambia, aspetta all’aeroporto insieme a Benedetta, nostra project manager, Daors e sua mamma.
“Besiona è giovane, colta e decisa. Ha paura di volare, ma nulla potrebbe fermarla dal dare al cuore di suo figlio nuovi battiti e la sicurezza nel futuro.”
Queste le prime parole che la nostra volontaria usa per descrivere Besiona, con cui si instaura fin da subito una grande empatia e fiducia.
Il momento è delicato, l’ansia è tanta ma la cura e la delicatezza di Antonella altrettanto.
Nei primi dieci giorni dopo l’arrivo in Italia, Daors e la sua mamma dovranno restare in isolamento. Per questo motivo è Antonella a portare la spesa con i generi di prima necessità nell’appartamento in cui Besiona e il nostro piccolo combattente alloggiano: non devono rischiare e i volontari della Fondazione sono lì per aiutarli.
“Con la mamma di Daors, pur non essendoci problemi di lingua perché parla italiano, abbiamo anche condiviso il silenzio.” – ci racconta Antonella – “Io sono una persona che parlerebbe con i muri, ma ho dovuto frenarmi, Besiona è troppo tesa ed esserci per le persone è anche questo: rispettare i loro limiti“.
L’aiuto che non ingombra
Mentre Antonella racconta, un ricordo le attraversa lo sguardo. Pensa al suo primo contatto con i bimbi cardiopatici e le loro mamme, in Zambia, e alle motivazioni che l’hanno portata ad avvicinarsi a Mission Bambini e al lavoro da volontaria.
Qualche anno fa, suo marito ha dovuto trascorrere un lungo periodo in ospedale e Antonella aveva trovato in un gruppo di volontari il supporto necessario. Quella è stata la scintilla che le ha fatto decidere di aiutare chi avesse bisogno.
Così, dopo aver adottato una bimba a distanza, ha deciso di partire con una missione per recarsi dove l’aiuto è più prezioso.
Il contesto con cui è entrata in contatto in Zambia è diverso da quello ritrovato con Besiona e Daors, ma questi due mondi sono legati da una stessa matrice: il valore dell’incontro, la consapevolezza di poter creare un legame, aiutare o alleviare le ansie di qualcun altro.
“Far sapere che l’aiuto c’è ma non è ingombrante, corre sullo sfondo per palesarsi quando è necessario” – queste le parole con cui ci lascia Antonella.
Così i nostri cuori battono all’unisono con quelli dei bambini nati nei Paesi più poveri del mondo, curati grazie alle scelte solidali delle persone che, insieme a noi, donano un futuro a chi rischia di non poterlo avere.
Segui il percorso di Daors sui nostri social, oppure…
TreeLove: così piantiamo il seme della speranza e della sostenibilità
Un piccolo cuore di carta da piantare diventa una bomboniera solidale green: per continuare a far battere il cuore dei bimbi con il cuore malato, per dare nuova linfa al cuore verde delle nostre città.
Un gesto solidale per raggiungere i cuori lontani
“Domenica 28 marzo abbiamo festeggiato il battesimo del nostro piccolo Federico; la zona rossa ha reso questo momento ancor più intimo, ma non meno intenso.”
È in questa occasione che mamma Elisa e papà Marco hanno scelto di raggiungere coloro che erano distanti fisicamente con un piccolo, ma grande, pensiero: il nostro TreeLove, una bomboniera solidale che per loro ha avuto fin da subito un valore grande.
“Sì, perché il nostro Federico è un bimbo cardiopatico: il suo cuoricino necessita di essere tenuto sotto osservazione e forse tra non molto potrebbe essere operato. Un’opportunità che con il nostro gesto speriamo di dare anche ai tanti bambini cardiopatici che nascono nei Paesi più poveri del mondo.”
Una bussola per seguire la solidarietà
Lucia, nostra volontaria e mamma di due preadolescenti, ama dedicare il suo tempo a fare del bene per chi ne ha bisogno, seguendo i valori che le sono stati insegnati e che vorrebbe trasmettere ai suoi figli.
“In questo periodo di pandemia tutto si sta svolgendo a distanza, ma le testimonianze che ho ascoltato negli incontri online organizzati da Mission Bambini mi sono arrivate dritte al cuore: ricche di entusiasmo, di voglia di fare, di non fermarsi davanti agli ostacoli e di reinventarsi, con l’unico obiettivo di donarsi all’altro.”
Così è venuta a conoscenza del nostro programma Cuore di Bimbi: “la Fondazione fa letteralmente battere il cuore a tanti bambini affetti da cardiopatie. Il mio contributo è stato fare una donazione, e in cambio ho ricevuto TreeLove: un piccolo cuore realizzato a mano in carta riciclata, all’interno del quale ci sono tanti piccoli semini da piantare, bagnare, tenere alla luce in attesa della nascita di tanti fiori colorati. Seminare e averne cura insieme ai miei due ragazzi è il mio modo per sentirmi partecipe e contribuire allo splendido gesto di salvare una vita.”
Un’opportunità di vita che fiorisce
Infine, c’è Daniela, nostra donatrice che da diversi anni si impegna insieme a noi per aiutare i bambini meno fortunati.
“Quest’anno ho scelto di sostenere Cuore di Bimbi: non solo perché anche io ho un problema al cuore, ma soprattutto perché questo progetto dà la possibilità a un bambino malato di cuore di ricevere le cure adeguate e di poter avere una vita in cui andare a scuola, giocare e realizzare i propri sogni.”
Subito dopo averlo ricevuto ha piantato il nostro TreeLove e, dopo pochi mesi, sono spuntati dei piccoli fiori bianchi: “Ogni giorno, quando li ammiro, mi danno una gioia immensa perché so che, mentre loro fioriscono, il cuore di un bambino continua a battere”.
Il diciottesimo di Chiara: una tappa importante, dedicata a chi è meno fortunato
In occasione del suo diciottesimo compleanno, Chiara Gentile ha voluto festeggiare con una raccolta fondi solidale: per dare a questo momento “un senso più grande” e salvare la vita di un bambino cardiopatico.
Una tappa importante, a cui dare un “senso più grande”
Lo scorso 30 luglio Chiara ha compiuto diciotto anni: “Dicono che il diciottesimo compleanno sia una tappa importante, ma io non ho mai amato organizzare grandi feste.”
Eppure, nei mesi che precedono il suo compleanno, qualcosa comincia a cambiare. “Ho avvertito una nuova esigenza: la diffusione del Covid-19 e soprattutto la grande paura, le difficoltà e le restrizioni imposte a causa del virus, mi hanno fatto riflettere sull’importanza di aiutare chi è meno fortunato.”
Per questo motivo Chiara decide di dare alla sua festa un obiettivo, un “senso più grande”, sostenendo con una raccolta fondi solidale il nostro progetto Cuore di Bimbi, che garantisce le cure necessarie ai bambini cardiopatici dei Paesi più poveri del mondo.
L’amicizia che dona una speranza di vita e muove la solidarietà
“Sono molto contenta – ci racconta Chiara – perché i miei amici hanno apprezzato il mio gesto e hanno contribuito a offrire una speranza di vita ai bambini malati di cuore. Spero davvero che questo mio contributo possa, per quanto piccolo, aiutare un bambino e spronare molte altre persone a farsi travolgere dal meraviglioso mondo della solidarietà.”
Se anche tu vuoi entrare nel mondo della solidarietà, puoi scegliere di festeggiare il tuo compleanno aiutando un bimbo in difficoltà:
- con un regalo solidale da condividere con amici e persone a cui tieni;
- con una tua raccolta fondi su Facebook oppure sulla nostra piattaforma di crowdfunding attivati.missionbambini.org
Per Sara e Stefano il senso di un matrimonio è in un cuore che batte
Il 23 settembre 2018 tanti cuori battevano forte: erano quelli di Sara e Stefano, che si univano felicemente in matrimonio, ed erano anche quelli dei bambini cardiopatici, nati nei Paesi più poveri del mondo, che finalmente potevano essere curati grazie alla scelta solidale dei due sposi.
Le bomboniere di Mission Bambini: un gesto di solidarietà utile e concreto
Sara e Stefano volevano celebrare al meglio il giorno per loro più felice e per questo motivo cercavano un oggetto che testimoniasse, a loro e alle persone invitate, il significato del matrimonio: provare a essere strumento di bene non tanto per sé, ma soprattutto per gli altri.
“Cercavamo quindi qualcosa che ci permettesse di fare un gesto di solidarietà utile e concreto, senza spendere inutilmente per oggetti destinati a essere presto dimenticati.”
L’amicizia con il Dottor Stefano Marianeschi, da anni medico volontario e coordinatore scientifico delle missioni del programma Cuore di Bimbi, ha fatto il resto:
“È stata davvero una grande gioia poter contribuire alla salute e alla felicità di bambini meno fortunati, che senza l’opera instancabile di Mission Bambini non avrebbero una speranza di vita serena!”
Scegli la tua bomboniera solidale!
Dopo aver curiosato sulla nostra pagina Bomboniere Solidali e dopo essere stati consigliati anche dalla nostra referente Sara Recalcati, Stefano e Sara hanno scelto le bomboniere Green & Glam:
“davvero belle, originali e fatte con cura!”
Ma quale sarà la bomboniera solidale perfetta per il tuo matrimonio?
Sceglila nella sezione dedicata sul nostro sito oppure contattaci via email per ricevere maggiori informazioni e suggerimenti.
Il compleanno di Rosella: non c’è regalo più bello di salvare insieme un bambino
In occasione del suo ultimo compleanno, Rosella Hoffer Pagani, nostra storica volontaria di sede, ha voluto festeggiare realizzando un desiderio: salvare la vita di un bambino cardiopatico.
Un passaparola in famiglia, per realizzare un sogno
“Lo scorso 10 febbraio – racconta Rosella – ho compiuto 75 anni, tre quarti di secolo. Un bel traguardo. Da festeggiare con la realizzazione di un desiderio, di un sogno. Mission Bambini, che ho visto nascere 20 anni fa, mi ha dato l’idea: salvare la vita di un bambino cardiopatico.”
Con l’approssimarsi della data del suo compleanno, Rosella comincia a comunicare la sua intenzione in famiglia. “Io e mio marito abbiamo figli e nipoti, siamo 12 in tutto. E in famiglia abbiamo l’abitudine di chiederci cosa desideriamo, in occasione del compleanno. La prima persona con cui ho condiviso l’idea è stata mia nipote più grande, mentre l’accompagnavo in auto a un appuntamento. Rimase entusiasta, così ne parlai anche con mio marito e iniziò il passaparola.”
Il regalo di compleanno è un cuore che batte forte
È così che marito, figli, nipoti e anche un’amica si uniscono nella realizzazione del desiderio di Rosella, facendolo proprio.
“Nessun regalo, per quanto bello e prezioso, avrebbe potuto rendermi altrettanto felice – confida Rosella. Ora so che, da qualche parte nel mondo, un bambino potrà vivere. Affinché ciò avvenga, la mia donazione non basta: ci vorrà l’opera di un cardiochirurgo e della sua equipe. Recentemente in Fondazione ho conosciuto tanti medici volontari del programma Cuore di Bimbi: sono persone appassionate e generose, provenienti da tante città italiane, ma anche dall’estero. Uno di loro prossimamente salverà il “mio” bambino.”
La raccolta fondi su Facebook: la possibilità di fare del bene
Per Rosella la nostra Fondazione “permette di realizzare i sogni di tante persone come me, desiderose di fare del bene per gli altri.”
Se anche tu sei come lei, puoi festeggiare il tuo compleanno aiutando un bimbo in difficoltà. Scopri come avviare la tua raccolta fondi su Facebook: https://www.facebook.com/fund/missionbambini/
La Giornata Mondiale dell’Infermiere: il racconto di chi resta sempre umano, sempre dedito alla vita
Il 12 maggio è la Giornata Mondiale dell’Infermiere e mai come quest’anno sentiamo il bisogno di celebrarla, insieme ai volontari del nostro programma Cuore di Bimbi: per ringraziare chi continua ad aiutarci a superare la difficile sfida contro il Covid-19, ma anche per raccontare, attraverso le parole di chi l’ha vissuta in prima linea, un’esperienza che ci ha profondamente cambiato.
Facciamo tesoro di questa esperienza, altrimenti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. Alessandro Crespi, infermiere volontario Cuore di Bimbi dal 2015
“Dire che cosa abbia significato vivere l’emergenza Covid-19 dal nostro punto di vista è un po’ difficile. L’impatto è stato fortissimo, inaspettato, devastante.
Gli echi (inascoltati), che giungevano da Oriente, ci hanno mostrato vulnerabili e impreparati. Però, non senza una bella dose di disorganizzazione, abbiamo tutti accettato la sfida e cominciato a fare la nostra parte, ognuno al meglio delle proprie capacità.
La pandemia ha agito un po’ da “livella”, come avrebbe saggiamente detto Totò: ha ridimensionato le priorità, mostrato la pochezza di ciò che fino ad allora avevamo percepito tutti come necessità. Ahimè, ha anche distolto l’attenzione dai problemi veri, rendendoli minimi, trascurabili: tutto il nostro lavoro, fatto fino a quel punto, è improvvisamente diventato procrastinabile. Vallo però a raccontare ai genitori dei bimbi con patologie congenite.
Noi nel frattempo ci siamo organizzati e barricati nei nostri fortini, i più fortunati nei castelli, con tanto di mura, torrioni e ponti levatoi; vestiti di armature e armati fino ai denti, abbiamo iniziato a combattere, a tentare di salvare tutti i feriti.
Non è stato facile.
Non lo è stato mai, anche prima.
Ma questa volta di più.
Lentamente il Covid-19 pare aver mollato la presa.
Tregua? Quanto durerà?
Noi usciamo lentamente dai nostri posti di combattimento certamente cambiati, consapevoli di saper fare squadra quando serve, percepiti un po’ meglio da chi ci ha visto lottare in prima linea, più forti di prima.
Spero solo che l’esperienza, paradossalmente meravigliosa, di vivere insieme tra le mura di un ospedale, di una rianimazione, ma anche di una casa, non vada gettata. Facciamone tutti tesoro, altrimenti, citando Blade Runner, Tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia.”
L’infermiere è là in trincea, in prima linea. Cinico quando serve, umano sempre, con forza-coraggio-amore. Maurizio Biella, infermiere volontario Cuore di Bimbi dal 2017
“Ognuno di noi esprime riflessioni in generale o dedicate alla propria realtà. Io non ne sono esente ed è giusto così.
Quotidianamente nelle nostre mani vengono messe delle vite. La responsabilità è grande, ma ciò non ci spaventa, anzi: le nostre mani aiutano il risveglio, il ritorno alla vita. Perciò voglio partire a ritroso, come si fa con la storia, che è poi lo spirito del nostro lavoro di ogni giorno.
Da anni mi occupo dei bambini cardiopatici. Quando ti lasci plasmare dalla fiamma della passione e della solidarietà, il tuo cuore abita nel mondo. E così, quando sei in terra straniera, ti accorgi di non essere uno straniero.
Il ritorno al sorriso di questi bambini, che è poi il sorriso che contraddistingue i bambini di ogni nazione, è il regalo più grande che possiamo ricevere. Chiara ci appare la loro storia meravigliosa, nella quale risiede la speranza di un nuovo futuro. Ed è una grande gioia vederli sorridere, correre e crescere. Siamo strumenti e testimoni del valore della vita.
È in questo scenario che si colloca il mio essere infermiere.
Un ruolo importante lo svolgono, con immensa dignità, le mamme dei bambini cardiopatici: sono loro che determinano lo scandire del nostro impegno attraverso l’espressione della speranza, della fiducia e della gratitudine, di cui abbiamo bisogno per continuare. Ci affidano la vita dei loro bambini: di fronte a questo immenso Amore il nostro cuore batte forte, nella consapevolezza che la vita è un valore incalcolabile.
Si tratta di bambini che, dopo aver perso tante battaglie, hanno vinto la loro guerra. Il riscatto è grande: riprendersi la vita.
Sì, perché noi ci tuffiamo nei loro cuori.
Ecco chi è l’infermiere: una persona che ha passione, coraggio, che si impegna, fa sacrifici, sostenuto nella propria professione da attitudini personali.
Infine, quando i tempi saranno finiti, l’uomo avrà scritto la sua storia anche nei cuori rattoppati di tanti bambini inviati dal cielo, testimoni nella quotidianità.
Poi arriva lui: il Covid-19.
Un mondo piegato sulle ginocchia. È forte, è agguerrito.
Confusione, teorie e riflessioni più o meno strampalate.
È il momento di rimboccarsi le maniche: il personale sanitario scende in campo, con o senza dispositivi di sicurezza individuali. Morti: tanti, troppi.
L’infermiere è là, in trincea, in prima linea. Cinico quando serve, umano sempre.
La sua divisa puzza. No, non puzza affatto. La scia che lascia parla di fedeltà alla professione; di dedizione alla vita, che protegge fino allo stremo; di capacità di accompagnare alla morte la persona che sta curando.
Ancora poi, in un angolino angusto, si rannicchia in solitudine, per poter lasciare… e preziose lacrime solcano il suo viso.
E ancora, con forza coraggio amore, riappare sulla scena per nuove primavere.”
Non scorderò mai i forti legami con i nostri pazienti: eravamo diventati in un certo senso il loro punto di riferimento, la loro famiglia. Ecaterina Baciu, infermiera volontaria Cuore di Bimbi dal 2016
“Da questa esperienza mi porterò per sempre dei momenti che non avrei mai voluto vivere, malgrado fossi consapevole dei rischi del nostro mestiere.
Non scorderò mai: gli sguardi impauriti dei pazienti, vedendoci comparire ricoperti con tutti i dispositivi; i nostri occhi pieni di lacrime, quando li vedevamo; i sorrisi durante le videochiamate con i loro cari; la ricerca della loro mano verso una carezza o il semplice contatto o il saluto, con la promessa di rivederci il giorno dopo. E purtroppo non scorderò mai quando, nonostante tutto il nostro impegno, non riuscivano a superare i momenti difficili.
Essendosi venuti a creare dei forti legami con i pazienti, eravamo diventati in un certo senso il loro punto di riferimento, la loro famiglia.
Le esperienze vissute durante le missioni organizzate dalla vostra Fondazione mi sembrano adesso dei ricordi molto lontani.
Confido nella ricerca per poter trovare la giusta cura contro questo mostro e per poter ritornare dai piccoli pazienti cardiopatici, che hanno tanto bisogno del nostro aiuto per poter guarire.”
Far battere un cuore: una responsabilità che riguarda tutti
“Certe esperienze sono così intense ed emozionanti che l’ostacolo più grande potrebbe essere quello di non riuscire a trovare le parole giuste per descriverle – parole che diano onore a ciò che ho visto e provato.”
Eppure Veronica Ruzzon, nostra volontaria da un paio di anni, quelle parole le ha prima cercate e poi trovate, tale e tanto forte era la voglia di raccontare la missione in Zambia a cui ha partecipato nel 2018 e insieme di ringraziare le persone incontrate, con cui ha condiviso quella che definisce l’esperienza più bella della vita.
Partire per una parte del mondo diversa, dove nulla è scontato
Veronica è partita a novembre insieme ai medici volontari del programma Cuore di Bimbi:
“persone straordinarie capaci di lasciare la propria famiglia, moglie e figli, per portare vita e speranza in posti del mondo dove non si ha possibilità di scegliere quasi nulla.”
Parti del mondo in cui tutto ciò che noi diamo per scontato, come la disponibilità di acqua e corrente, non lo è più. E in cui proprio per questo, alla fine, delle scelte importanti devono essere compiute, con etica, professionalità, nel rispetto del contesto e degli equilibri già presenti. Al gruppo di medici volontari arrivati in Zambia è bastato meno di un giorno per capirlo.
“In ospedale, già in tarda mattinata, l’acqua non c’era più: venivano preparati dei bidoni per tamponare la situazione. E così anche l’atto più semplice del lavarsi le mani, quando diventava possibile, assumeva un connotato quasi mistico. La corrente è saltata sia durante un’operazione a cuore aperto sia durante la notte successiva, quando i bambini erano intubati.”
È stato proprio in sala operatoria, senza corrente, senza un generatore a supporto, senza l’apparecchiatura necessaria a monitorare lo stato fisico di un bambino che stava subendo un intervento al cuore, che Veronica ha capito: salvare una vita esige di saper andare oltre.
“Io non so se tutto questo ha un senso, so solo che in quei momenti, quando la tecnologia che dovrebbe supportarti viene meno, puoi fare affidamento solo su te stesso e sulle persone che ti stanno accanto. La cosa che mi ha colpito è il fatto che il personale sanitario ha continuato a lavorare come se nulla fosse: senza battere ciglio, senza titubare, senza lamentarsi.”
Vedere un cuore che ricomincia a battere. E oltre.
Durante la missione sono tante le cose a cui si cerca di dare un senso, ma, quando si vedono dei bambini innocenti soffrire, diventa forte la sensazione di essere da un lato impotenti, dall’altro un po’ responsabili rispetto a quanto succede nei Paesi più poveri del mondo.
“Inizi a ragionare in modo diverso: ti chiedi che cosa hai fatto fino a oggi per mettere a disposizione dei bambini, di tutti i bambini, un mondo migliore. Anche se vivi a chilometri di distanza, quello che succede in Zambia è come se succedesse qui, perché il mondo è uno solo, quindi siamo tutti responsabili. Se il bambino ha una malformazione congenita al cuore, è colpa della natura che non ha fatto il suo dovere. Se però questo bambino non può essere operato, per qualsiasi ragione non imputabile al suo stato fisico, c’è un problema.”
Le operazioni eseguite dai medici volontari del programma Cuore di Bimbi sono di due tipi: “a cuore aperto” e di emodinamica. Il loro lavoro però va oltre l’operazione al cuore: accompagnano i bambini cardiopatici e le loro famiglie anche nelle fasi pre e post operatorie e formano il personale sanitario locale, per renderlo il più possibile autonomo nel trattamento delle cardiopatie infantili.
Allo stesso modo l’esperienza di Veronica ha comportato assistere alle operazioni, ma anche molto altro.
“Si è trattato di passare del tempo con i bambini prima che fossero sottoposti all’intervento, stare con le loro famiglie, assistere il personale sanitario nella fase preparatoria. Essere in sala operatoria a pochi centimetri da loro e alla fine vedere i loro cuori stare meglio e ricominciare a battere. E poi ancora vivere la tensione del postoperatorio, quando il corpo del bimbo deve riprendere la sua normale funzionalità, quando le famiglie ti corrono incontro per sapere come stanno i loro bambini e tu non puoi dire né fare nulla, in quanto non ne hai la qualifica. E quando i bambini si svegliano in stato confusionale: alcuni piangono per il dolore, altri perché la mamma non è lì con loro.”
È anche guadagnarsi la fiducia di bambini che non capiscono esattamente che cosa stia succedendo e che cosa debbano affrontare, ma che sono stanchi di vedere ospedali e medici e di non stare bene.
Tutti possiamo fare la differenza, a partire da un palloncino
Il personale sanitario è senza dubbio fondamentale nelle missioni del programma Cuore di Bimbi: i medici volontari sono il punto di collegamento tra la scienza e la vita. Eppure, nel nostro piccolo, siamo tutti utili, sempre e dovunque. E anche un palloncino donato può fare la differenza.
“È straordinario il fatto che un palloncino abbia cambiato l’umore di una bambina, che con maggiore serenità ha affrontato la visita cardiologica, e di conseguenza anche quello della sua mamma, che, con un sospiro di sollievo, per una volta non ha visto la figlia piangere. È la dimostrazione che siamo tutti connessi e che l’obiettivo non viene raggiunto dal singolo, ma dall’unione delle volontà e dei gesti di ognuno di noi. Gesti che, seppur piccoli, creano un concatenarsi di eventi positivi.”
Quello che resta e quello che ancora deve continuare
Al termine della missione Veronica ha portato con sé lo sguardo, il nome, le storie dei bambini che ha incontrato.
“Credo che sia giusto raccontare che grazie a questo progetto moltissimi bambini ce l’hanno fatta e oggi hanno un cuore sano. Credo che sia giusto raccontare anche di un bimbo di dieci giorni, notato da una neonatologa della missione: la sua operazione non era in programma, ma, girando in reparto, la dottoressa ha individuato il suo stato critico e lo ha portato in sala operatoria.”
Tanti altri bambini con il cuore malato aspettano il nostro aiuto per essere operati. Veronica lo sa, lo ha visto, ed è per questo che la sua esperienza è solo all’inizio e – come ci ha raccontato – deve continuare. Esattamente come la nostra.